Tanti i suoi film e documentari che hanno trattato temi importanti, hanno partecipato a Mostre e Festival in Italia e all'estero e tanti i temi che ne hanno riconosciuto la bellezza. Il regista Gianfranco Pannone questa sera, venerdì 16 febbraio, alle ore 21 sarà al Multisala Oxer di Latina per presentare il suo "Mondo Za", omaggio al Maestro del Neorealismo ma non solo. Lo abbiamo avvicinato per una intervista.

Gianfranco Pannone ancora una volta dietro la macchina da presa per raccontarci la realtà. Lo fa rievocando Cesare Zavattini, e per raccontare quella bassa reggiana che Za amava profondamente.
«‘Mondo Za' è un tributo indiretto. Parto da Zavattini per andare alla scoperta della Bassa reggiana, un luogo geografico ma soprattutto un ‘luogo dell'anima', qualcosa che ritorna spesso nei miei lavori, nei film sul territorio pontino come in quelli dedicati alla mia terra di origine, al Vesuvio, a Napoli. La Bassa però è un luogo dell'anima particolare. Mi sono sentito a casa lì. Ho sempre considerato un vantaggio essere cresciuto tra Latina e Sabaudia. Mi ha permesso, al di là dei facili localismi, di amare il nostro Paese. Ho avuto a che fare con una famiglia di origine meridionale, la mia, ma anche con gente venuta dal Nord, con gli italiani di Tunisia, con i ferraresi, i campani, gli emiliani, i friulani. Latina è un territorio mondo, che oggi fa sì che io possa cogliere qualcosa di vicino anche in realtà con cui non ho direttamente a che fare. Nella Bassa zavattiniana ho trovato le suggestioni dialettali legate anche a un pezzo di emilianità presente vicino a Pontinia ad esempio. E osservando il Po mi sono detto che in fondo, anche senza il grande fiume, abbiamo un territorio analogo, impreziosito da risorse come il Circeo e le Isole Pontine. Penso di avere realizzato un film che non ci è estraneo, anche se con storie politiche diverse: lì ci sta il comunismo, da noi la partenza fascista del territorio>.
Una terra, la Bassa, di forti passioni e straordinari impeti. Dove ritrova questi sentimenti e questa energia a Latina?
<Non li ritrovo del tutto, eppure anche in questo caso ci sta un nesso. Mi viene in mente una storia divertente e tragica che non tutti sanno e che riguarda il nostro passato. Quando giunsero qui i coloni ferraresi e quelli del reggiano, in una zona vicino a Pontinia fu creata "la strada rossa", il luogo più disgraziato della bonifica pontina. Era sotto il livello del mare, acquitrinoso come pochi altri. Vi portarono gli emiliani, più legati a una visione socialista del mondo, perché potessero essere isolati a causa delle loro idee: veneti e friulani si pensava fossero completamente governabili, loro no. Vivevano lì una ventina di famiglie in odore di "eresia politica". È vero, la passione che trovi nella Bassa zavattiniana è differente, eppure si potrebbe dire - scherzando ma non troppo -, che se la Bassa ha avuto Zavattini noi abbiamo Pennacchi. È lui il nostro cantore>.
Che cosa l'ha colpita di più dell'uomo Zavattini?
<Il forte e magnifico legame che aveva con la sua terra. Tornava spesso a Luzzara, anche quando era ormai diventato un artista di fama internazionale. In età molto avanzata, ricomprò addirittura la casa dei genitori. Anche per me il legame con il territorio è qualcosa di caro e profondo. Nel film non ho voluto tanto evocare l'arte, lo sceneggiatore, il Maestro ma quel rispetto sacro per quel pezzo d'Emilia lambito dal fiume Po. È questo il concetto dei luoghi dell'anima>.
Quattro storie, lo "spettro" di Za e quello di Ligabue che sembrano sorvegliare l'amata terra, un rapporto di reciprocità ricco e complesso che nella sua opera intreccia passato e presente. In uno degli episodi fa riferimento a un tema attualissimo come l'integrazione, e ci presenta il rapper Prince.
<È un altro aspetto che accomuna il nostro a quel territorio. Penso alla comunità indiana che vive nella provincia pontina. Mi affascina, c'è addirittura un progetto che sto portando avanti. Si intitola "Sikh et simpliciter", ma non so quando e se diventerà un docufilm. Gli indiani li abbiamo trovati anche nella Bassa, persone che si stanno insediando molto bene. E poi abbiamo incontrato Prince, cantante che ha conosciuto la poetica zavattiniana e adesso ne rappa i versi. Quanto sarebbe piaciuto a Zavattini! Lui aveva di bello quella capacità di guardare al nuovo senza alcun sospetto. Anzi, lo considerava nutrimento. Era logico il concetto di accoglienza in una terra come la Bassa, storicamente abituata a essere invasa. Da Annibale ai nazifascisti, sono passati tutti lungo la sponda del Po. La gente lì è positiva nei confronti delle differenze culturali, ancorata alla propria storia lontana ma pronta ad abbracciare la diversità. È così che spuntano personaggi come Prince Brown>.
E trova anche in questo caso analogie con Latina?
<Renato Nicolini parlò di città senza mura, questo non avere le mura dovrebbe rendere la nostra terra più accogliente. Purtroppo qui albergano ancora gli spettri del fascismo che ci rendono differenti dalla Bassa reggiana, dove invece sorridi nel riconoscere il fantasma di Zavattini in un ragazzo nero che arriva dal Ghana. Un paradosso, ma non troppo. Zavattini ne gioirebbe>.
In questi giorni si sono conclusi gli eventi legati al centenario della nascita di Giuseppe De Santis. Quale eredità ci ha lasciato il Neorealismo?
<Peppe De Santis è stato un Maestro e un amico che ho avuto il privilegio di conoscere. È stato un padre del Neoralismo, il che lo lega inevitabilmente a Zavattini. Mi chiedi che cosa rimane del Neorealismo. Tante cose, e due fondamentali. Una è l'attenzione verso la realtà, in quell'ottica zavattiniana secondo la quale quest'ultima possa meravigliare molto più della fantasia (e lo sapeva bene Peppe De Santis!). Una realtà non da considerare come ciò che è immediatamente visibile ma come ‘ciò che sappiamo vedere di essa e sappiamo restituire'. Dopo anni e anni di formazione taroccata, il ritorno del cinema del reale o del documentario come fenomeno italiano e non solo, è legato al bisogno di almeno due generazioni di andare a vedere di persona che cosa succede nella vita. Ecco allora che il Neorealismo si ripropone con i suoi fondamenti che stanno nella capacità di meravigliarsi e di sancire, attraverso l'arte, una propria presenza su un mondo in divenire. Per me la lezione del Neorealismo è tuttora valida, e la riconosco nella bellezza di interpretare creativamente la realtà. De Santis e Zavattini ne furono Maestri!>.