Una storia e dei personaggi nati in una lontana Chicago, ma veri e assolutamente credibili anche nella Napoli di oggi dove li porta Marco D'Amore, un attore tra i più amati, il Ciro Di Marzio del successo "Gomorra" che presto vedremo a Latina nel ruolo di protagonista e regista di "American Buffalo". Lo spettacolo è attesissimo nella città dove un gruppo di ragazzi ha creato la serie web "La banda della Migliara" per ridicolizzare la criminalità organizzata e dove, come del resto un po' dovunque, D'Amore è ormai una star.
Una bella esperienza teatrale e cinematografica alle spalle, anni di studio (tra gli insegnanti Toni Servillo), un diploma alla Paolo Grassi di Milano, l'artista ha accettato con grande disponibilità di parlare di questa pièce, che dalla Capitale si accinge a presentare nelle periferie.
Da Ciro "L'immortale" dello schermo a "O' Professore in teatro. Perché questa scelta?
«Qualche tempo fa ho avuto l'occasione di incontrare Luca Barbareschi e di conoscere tramite lui Mamet. Mi proponeva di mettere in scena American Buffalo. Avevo visto la versione cinematografica interpretata da Dustin Hoffman, ma al testo non mi ero mai avvicinato. Mi ha colpito, ho provato come una vertigine, e man mano che leggevo ho avuto l'impressione di incontrare ‘tipi' che non mi erano affatto nuovi, una realtà già vista. Troverai strano passare dall'America al cuore di Napoli, ma American Buffalo ha in sé una forza sorgiva che mi ha guidato nel fare questa trasposizione (grazie anche alla riscrittura operata da Maurizio de Giovanni). Non avrei mai potuto portare sul palco lo slang "italianizzato" dei bassifondi di Chicago, sarebbe uscita una versione ridicola, poco credibile. Quel ‘sound' dal basso che si ritrova nel testo di Mamet è lo stesso della lingua più musicale e popolare, il dialetto napoletano, universale, unico, la lingua teatrale per eccellenza».
Tra gli spettacoli in tour in questa stagione c'è "Aspettando Godot" di Beckett; il Cinema lancia "The Square" di Ruben Östlund, e intanto si torna ad applaudire "American Buffalo". Inganno, vuoto, mancanza di fiducia, rivalsa. Non c'è più speranza?
«Non sono affezionato a questa parola che regala altro vuoto. A Napoli la saggezza popolare dice che "Chi ‘e speranza campa disperato more'. Credo invece nelle possibilità dell'uomo, quelle che ha in sé e che deve impiegare per realizzarsi. Credo in un governo che svolga il suo dovere, garantisca lavoro, educazione, sanità, accesso alla cultura. E credo che sì, dovremmo recuperare tutti un po' di umanità»
Teatro, cinema, quale valore hanno oggi? In fondo anche queste nostre riflessioni scaturiscano da un film, da uno spettacolo...
«L'Arte per me ha rappresentato e rappresenta la forza che apre il cervello, spacca i polmoni. E il compito del teatro o del cinema è mettere in crisi. Non condividerò mai l'idea di uno spettacolo realizzato per indottrinare. Prendiamo American Buffalo, la storia di un colpo per recuperare una vecchia moneta da mezzo dollaro che forse vale qualcosa o forse no. È l'apologia del fallimento, della deriva, di un piano perdente sin dall'inizio intrapreso da chi crede di potersi giocare tutto con una botta sola spinto dal desiderio di rivalsa. Ti dico che se anche solo due, tra migliaia di spettatori in teatro, si sono trovati a riflettere, allora non ho fallito il mio impegno. Nei vicoli in cui le ‘puteche' esistono ancora, mi vedrete in una veste irriconoscibile. Sono un reietto, un balordo in una società che Mamet ha delineato senza età e senza confini.