I residenti che abitano le case sui rilievi di San Silviano hanno perso la tranquillità. Chiudere gli occhi la sera è difficile. Troppa paura che durante la notte le fiamme possano riattizzarsi. Dopo l'incubo del 16 agosto scorso, quando uno dei tre roghi scoppiati a Terracina ha lambito le abitazioni fino a costringerli a lasciare le case, non c'è pace. Accanto a questo, il territorio ha le sue contraddizioni: manca la manutenzione.

Città svegliata ancora una volta dai Canadair giovedì mattina 17 agosto, dopo la notte di fuoco che ha investito i rilievi collinari, aggrediti da tre fronti di fuoco. Elicotteri e aeroplani hanno attraversato i cieli, dal mare all'entroterra, per tutta la giornata gettando acqua sui focolai ancora accesi. A San Silviano, zona abitata, i residenti fanno i conti con il disastro del giorno dopo. Macchia mediterranea bruciata a due passi dalle case, famiglie evacuate, cani rifugiati dai vicini, turisti sbigottiti dopo la notte trascorsa sul piazzale della chiesa, fino alle 4 del mattino quando, ultimati i sopralluoghi dei vigili del fuoco anche all'interno delle abitazioni per verificare l'integrità degli impianti elettrici, sono potuti rientrare. A turno, però, gli inquilini sono rimasti svegli, su consiglio delle autorità. Vietato abbassare la guardia.

Il paesaggio è spettrale. Un vecchio casale, per fortuna disabitato, è andato bruciato. Alle sue spalle, si alza ancora del fumo mentre in lontananza mezzi aerei gettano acqua sugli altri focolai, a La Ciana e Santo Stefano. Dai sentieri quasi invisibili delle alture, le voci dei volontari e dei vigili del fuoco, accompagnati dai residenti. Si intravedono secchi e taniche. Ancora si spegne. Sono tutti sfiniti, ma non si fermano. Questa zona di San Silviano è molto abitata ma le case sono raggiungibili solo attraverso una strada stretta e dissestata. Via Bellaria, una biforcazione, si ferma invece all'altezza di una casa anch'essa salva per miracolo dalle fiamme. Alcune abitazioni si sono salvate proprio grazie alla strada, che ha fatto da divisorio.

Anna Fusco è dalla famiglia in ferie, vive a Roma, dove fa l'avvocato. Ci raggiunge dopo aver accompagnato la protezione civile in una zona. Ci fa vedere il disastro accanto a casa sua. «Siamo rientrati in casa intorno alle 4», racconta. «L'incendio è partito da qui, nel pomeriggio», dice. «In un attimo credi di aver perso tutto», si era sfogata su facebook. «Lasciare casa e non riuscire neanche a prendere la borsa, non riuscire ad accendere l'auto per scappare, impazzire perché non trovi più uno dei tuoi cani, non sapere dove sono tutti i tuoi cari». Un incubo. Alle 11 le squadre della protezione civile salgono e scendono, elicotteri e canadair fanno da sfondo dalla mattina presto. L'altra notte sono arrivati da Sezze, Velletri, Latina, Fondi. Resta il terrore del tramonto. L'ora ics in cui, da tre giorni, ricomincia l'inferno.

Strade dissestate, rifiuti e roghi "privati". Le contraddizioni di un territorio 
Il diavolo, si sa, si nasconde nei dettagli. Ed è guardando ai dettagli che si può almeno tentare di comprendere il territorio collinare, con le sue contraddizioni. A San Silviano, in una delle zone più colpite dall'incendio, salta subito all'occhio lo stato della strada. Stretta e dissestata, pezzata di asfalto qua e là per coprire le tracce di sottoservizi e lavori. In alcuni punti c'è il rischio crollo. Non è un caso se non è stato facile nemmeno per i vigili del fuoco raggiungere i luoghi delle fiamme. Mezzi troppo grandi per passare tra montanti e strettoie precarie. Ci sono segnaletiche che recitano "Attenzione, buche pericolose", transenne che mettono a riparo - si fa per dire - da cigli che sono venuti giù, con intere piante di fico che hanno finito per colmare il buco. Ma non è tutto. Anche l'attività dell'uomo fa la sua parte. Solo stando fermi, si osserva poco distante della guaina abbandonata a bordo strada. Magari solo poggiata in attesa di essere smaltita. Dietro un cespuglio, una piazzolacon i resti di un piccolo rogo "privato", forse casuale, di certo slegato dall'incendio. Immancabile, una busta della spazzatura. Piccoli segnali. Dettagli. Che aiutano però a capire un territorio e i suoi cittadini.

Montagna "spogliata", ora il rischio è idrogeologico
Col caldo di oggi è quasi impossibile immaginare le piogge. E con l'emergenza in corso non è facile pensare alle conseguenze di lungo termine. Ma gli incendi in collina, oltre che distruggere un patrimonio boschivo di anni, se non di secoli, hanno un altro drammatico risvolto: l'aumento del rischio idrogeologico. Senza le radici e la vegetazione a fare da freno, il pericolo di crolli, frane e smottamenti cresce considerevolmente. Basta guardare lo stato in cui versano alcune stradine con ai bordi veri e propri baratri. Quando va meglio, ci sono transenne e segnaletica di avvertimento. Altrimenti, bisogna cavarsela con la conoscenza del luogo. Con le montagne «spogliate» della loro naturale protezione verde, le prime piogge potrebbero arrecare nuovi danni. Un problema da affrontare subito, anche perché si conoscono bene i costi della messa in sicurezza. Il Monte Cucca, con i suoi massi crollati sulle strade e sulla ferrovia, parla da solo. Quattro milioni di euro inseguiti per anni. Questa sarà la seconda conta dei danni se non si mette subito sul tavolo una strategia. Certo, pare facile. Ma ormai è appurato: si può passare dal caldo torrido e gli incendi ai violenti temporali anche solo in poche ore.