Qualcosa ci sfugge di queste primarie del Pd. O forse è più corretto dire che qualcosa non arriva, a parte gli attacchi più o meno velati, più o meno diretti, che i due candidati si scambiano ormai da settimane. Pensare che il confronto tra Forte e Galante sarebbe stato illuminante per comprendere chi dei due avesse da offrire la migliore proposta sul modo di interpretare la figura di un sindaco, è stata una illusione passeggera, presto dissipata dal reciproco confliggere dei due. Quotidianamente impegnati non si sa dove «ad incontrare gente» con l’evidente scopo di intercettare consensi secondo schemi e modalità che rimandano a qualcosa di superato, i due rischiano di arrivare alla data del 22 novembre senza avere mai spiegato, o chiarito, cosa vorrebbero davvero fare di questa città che entrambi ambiscono gestire. Ma a conti fatti, sarebbe ingeneroso attribuire esclusivamente a Forte e Galante una eventuale incapacità di comunicare i rispettivi disegni e programmi. Il senso delle primarie interne ad una formazione politica, dovrebbe essere quello di orientare l’elettorato di riferimento sulla migliore formula interpretativa delle istanze del partito che rappresentano, ideologiche, programmatiche e gestionali. Ma il Partito democratico di Latina ha davvero qualcosa da dire, indipendentemente dalla statura e dalle capacità dei due candidati? E soprattutto, questo Pd esiste? E se esiste, dove sta?
Già all’indomani delle candidature, il partito avrebbe dovuto imporsi richiamando Forte e Galante ad una interpretazione seria e corretta del ruolo, visto che il loro compito dovrebbe essere quello di esprimere il meglio che la formazione politica di appartenenza è in grado di offrire alla città in termini di pensiero e progettualità. Abbiamo invece dovuto constatare che il Pd, se esiste, è assente dallo scenario delle primarie, assumendo su di sé il rischio concreto di vedersi danneggiato, piuttosto che esaltato nelle forme e nei contenuti, dal confronto in atto tra i due contendenti. La segreteria del partito sembra non avere a cuore la tenuta dell’immagine del Pd, e continua a permettere ai due candidati ufficiali delle primarie di portare avanti una campagna acquisti assolutamente personale anziché di partito, come se l’impegno più urgente da assolvere fosse proprio quello di imporre la maggiore distanza fra loro e la formazione politica che dovrebbero invece rappresentare nel tentativo di condurla verso il successo elettorale.
Se è vero che il buongiorno si vede dal mattino, allora possiamo dire che le primarie del Pd sono nate male e che il risultato che ne verrà fuori sarà quello di una frattura insanabile, con la cristallizzazione definitiva del bipolarismo interno da cui le candidature di Forte e Galante hanno tratto origine.
Paolo Galante ha avuto l’imprimatur soltanto da una metà del Pd, e l’altra metà ha imposto la candidatura di Forte. Qualcuno è in grado di assicurare che dal 23 novembre in poi il Pd di Latina assumerà la fisionomia di un partito unico e compatto? Questo qualcuno dovrebbe essere la segreteria del Pd, la stessa che sta consentendo al partito di spezzarsi a metà attorno alle figure dei due candidati per le primarie. La «passeggiata» verso la conquista storica di Piazza del Popolo immaginata dal segretario del Pd Salvatore La Penna già all’indomani della liquefazione dell’amministrazione Di Giorgi e rappresentata sul tratteggio del «Quarto stato» di Pellizza da Volpedo, minaccia di tradursi in un’altra raffigurazione, altrettanto simbolica ma decisamente meno incoraggiante, come «La zattera della Medusa» di Gericault, un relitto in balìa di un mare inclemente che non lascia intravedere approdi sicuri e sul quale i superstiti non esitano a cannibalizzarsi pur di restare in vita. Qualcuno comincia già ad insinuare l’idea del «biscotto di Moscardelli», ovvero l’effetto perverso dello stratagemma che il senatore avrebbe messo su per isolare il suo competitore interno Enrico Forte, proponendo la candidatura di Paolo Galante, due mesi fa gradita allo stesso Forte che l’aveva condivisa prima di osteggiarla immediatamente dopo col proprio ingresso nell’agone delle primarie. Ma il rischio è che il «biscotto» non sia soltanto per Moscardelli, ma finisca per anestetizzare l’intero Partito democratico annullandone le ultime energie residue.