Leggendole una ad una, le sei delibere con le quali il Commissario straordinario Giacomo Barbato ha annullato i Piani particolareggiati di Borgo Piave, Borgo Podgora, Latina Scalo e dei tre quartieri R-6 Isonzo, R-3 Prampolini ed R-1, presentano profili di criticità ogni volta identici e dai quali si evince chiaramente che gli incarichi affidati ai progettisti che hanno redatto quei Piani erano di fatto vincolati ad una strategia comune che si può riassumere nella creazione di nuove volumetrie disponibili all’interno di ciascun quartiere soggetto a variante. E prima ancora di interrogarsi sulla eventuale necessità ed opportunità per l’assetto generale della città di dotarsi di nuove cubature, e dunque prefigurare un aumento a tappeto dei residenti, è singolare constatare la perfetta identità dei presupposti attraverso i quali i tecnici incaricati sono giunti ogni volta a giustificare la scelta di imporre nuove volumetrie edificabili.
Il punto di partenza è lo stesso per tutti, l’indicazione fornita nel 2012 dalla Commissione Urbanistica circa la possibilità di decurtazione della volumetria già realizzata, escludendo dal computo i corpi scala, i vani ascensore ed altro, fornendo come unità di misura comune a tutto il territorio l’indice del 15%. Usando quel grimaldello, i redattori dei Piani hanno sottratto dalle volumetrie esistenti una quota di cubature (peraltro mai la stessa) trasformando quelle cubature «in avanzo» in nuove opere da realizzare.
Nelle delibere di annullamento dei Piani, viene sottolineato che l’indicazione della Commissione Urbanistica, a tutti gli effetti una variante al Prg, non si è mai tradotta in un qualsivoglia provvedimento di approvazione da parte del Consiglio comunale, e dunque sarebbe da considerarsi lettera morta. Invece la decurtazione dei volumi esistenti è diventata il banco di lavoro su cui innestare le varianti ai Ppe.

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