Era una domenica anche allora, il 16 ottobre 1988. Ventotto anni fa, con l'uscita del primo numero in edicola, cominciava l'avventura di Latina Oggi, il primo quotidiano della provincia pontina. Erano anni facili, il Paese era governato dal cosiddetto CAF, la triade Craxi-Andreotti-Forlani, si lasciava alle spalle le traumatiche esperienze delle stragi di Stato e della lotta armata, e lo slogan che meglio di altri incarnava lo spirito del tempo era quello della «Milano da bere» con la sua portata di ottimismo, la sua promessa di benessere, la sua garanzia di libertà, una libertà intesa in modo molto estensivo, come si sarebbe visto di lì a poco. Siamo sbarcati in quel contesto positivo e felice, che col senno di poi avremmo definito anche «allegro». La classe politica che governava i Comuni e l'amministrazione provinciale, i Comitati di gestione dei distretti della sanità e gli altri enti locali era fatta di persone già mature, formate nei circoli della Dc, nelle stanze fumose dei sindacati, nelle sezioni del Pci e nelle sedi più eleganti del Psi. Era un mondo con profonde radici nel passato, ma era un mondo nuovo, che pensava in grande e che non esitava neppure ad imboccare qualche scorciatoia. Che cosa avremmo raccontato, da quell'ormai lontano 1988 in poi, dal nostro osservatorio che presidiava in maniera capillare l'intero territorio provinciale? Abbiamo scritto di una politica padrona, di un'economia in difficoltà ma non ancora schiacciata dalla crisi, di una classe imprenditoriale locale che stentava ad individuare il proprio ruolo e la propria fisionomia, di un contesto istituzionale polveroso e poco dinamico, di una gioventù già in fuga e alla ricerca di approdi migliori. Il primo titolo di apertura di Latina Oggi, quello del 16 ottobre 1988, era dedicato al caso di un giudice che si esercitava nelle arti del commercio di auto di lusso e nelle attività del credito. Quel biglietto da visita fu un pugno allo stomaco per l'intera comunità, poco avvezza alle sfide e alle provocazioni. Oggi potremmo dire di aver colto nel segno da subito avevamo infilato fin dal primo giorno il dito nella piaga di questa nostra società fatta di gruppi di interesse e di corporazioni che si tollerano e si sostengono reciprocamente nella consapevolezza che gli interessi particolari e personali si coltivano nella discrezione e nel rispetto degli affari e dei vantaggi altrui.
E venticinque anni dopo, a testimonianza di quanto quella mentalità sia radicata nel dna culturale del nostro territorio, coi nostri articoli avremmo mandato a casa un altro giudice, che si spendeva tra sentenze e investimenti immobiliari.
Tra l'uno e l'altro, abbiamo infastidito un esercito di politici e amministratori pubblici, ma anche qualche Prefetto, qualche Procuratore della Repubblica, qualche Presidente del Tribunale, segretari generali degli enti locali, presidenti delle più svariate compagini. Abbiamo fatto metà del nostro dovere di cronisti.
La sfida più ardua è stata quella di crescere professionalmente in questo contesto cercando di tenercene fuori quel tanto che basta per non fonderci con la materia che andavamo trattando un giorno dopo l'altro, senza mai smettere, neppure per un momento. Mettere le mani nel fango e tirarle fuori pulite è un esercizio che richiede l'uso di guanti. Il nostro involucro protettivo in questi 28 lunghi anni è stata la gente, la comunità dei lettori, quella alla quale rispondiamo quotidianamente, quella che ci ha affidato il compito di osservare in sua vece la realtà e i fatti di questi luoghi, e di raccontarli senza filtri e senza veli. Se siamo ancora qui col patrimonio di un marchio diventato nel tempo familiare a tutta la gente della provincia di Latina, è perché forse siamo riusciti ad interpretare il ruolo che ci compete, perché ci siamo guadagnati il rispetto dei nostri lettori, e forse anche quella dose minima di considerazione da parte dell'intera società pontina che ci permette di essere identificati a buon diritto come una parte sostanziale e riconoscibile del tessuto socio culturale del territorio. Una piccola istituzione che concorre alla formazione delle coscienze e allo sviluppo culturale della nostra gente. Costretti a cogliere anche le sfumature dei cambiamenti che si agitano e perfezionano attorno a noi, non ci siamo lasciati sorprendere dalle asperità in cui siamo incappati ed abbiamo colto ogni possibilità di rinnovamento per resistere e per crescere. Oggi siamo non soltanto un gruppo di giornalisti ma anche gli editori di noi stessi nella forma della cooperativa. La nostra vera forza sta nella convinzione con cui affrontiamo il nostro mestiere, nella consapevolezza della missione che questo mestiere implica, nella nostra capacità di distinguere tra cose, fatti e persone, quanto valga la pena sostenere le une o contrastare le altre con gli strumenti del confronto, della verifica, della serenità di giudizio e della correttezza. Un patrimonio messo su nel tempo grazie al concorso di tutte le giornaliste e i giornalisti, collaboratrici e collaboratori e dei poligrafici che hanno condiviso questa meravigliosa avventura che adesso è già un pezzo di storia.Â