Diciotto persone finiscono in carcere o agli arresti domiciliari perché ritenute componenti di un'associazione per delinquere dedita a truffare lo Stato usando lo schermo delle cooperative per intascare, indebitamente, milioni di euro. Coinvolti professionisti, commercialisti e perfino militari della Guardia di Finanza. Sentito qualcuno che ha qualcosa da dire? Niente, nessuno. Ci saremmo aspettati un commento da una lega delle cooperative, da qualche sindacato che tutela i dipendenti delle coop, che sono molte anche da noi, da un'associazione di categoria, da un Ordine professionale, magari proprio quello dei dottori commercialisti, da un partito qualsiasi, non importa se di destra o di sinistra. Macché. Il silenzio totale. Eppure siamo in campagna elettorale, un fatto come questo potrebbe essere uno spunto interessante per parlare del lavoro che non c'è e delle insidie del lavoro che c'è, ma che viene sfruttato da abili faccendieri per fare soldi sulle spalle dei soci delle cooperative. Poteva essere uno spunto per spingere sul tasto della inadeguatezza dei controlli sulle imprese, o sullo stato di salute delle associazioni, non soltanto quelle delle cooperative, che sono nel pallone e non si capisce bene cosa ci stiano a fare al mondo. Ma è di tutta evidenza che qui da noi, talmente siamo abituati a sentirne, queste storie non fanno presa sull'immaginario collettivo.

Il giorno degli arresti, a Latina c'era il Matteo più di centrosinistra che abbiamo che teneva un comizio per sostenere il Pd. Nessuno degli esponenti locali ha ritenuto di dover suggerire a Renzi di poter prendere spunto da quel fatto di cronaca per parlare della necessità di garantire meglio i lavoratori meno protetti e più esposti alle bizze dei padroni birbanti, oppure per fare i complimenti alle fiamme gialle che non hanno esitato a colpire qualche appartenente infedele al Corpo.

E l'altra sera nemmeno uno dei leghisti che hanno portato Salvini in piazza ha pensato di imbeccarlo su quest'ultima retata di presunti delinquenti in giacca e cravatta. Il Matteo più a destra che c'è, ne avrebbe certamente tratto lo spunto per invocare l'uso del pugno di ferro contro chi ruba i soldi dello Stato e dei lavoratori, e per finire a parlare anche delle cooperative che gestiscono l'accoglienza dei migranti. Un'occasione persa anche per Salvini. Del resto, questa storia dei diciotto arresti è nata male: conferenza stampa in pompa magna nell'Aula Borsellino di via Ezio, e il Procuratore evita di dare ai giornalisti i nomi delle persone indagate e di quelle arrestate. Chissà perché tanta cautela, tanto garantismo. Fortuna che siamo attrezzati anche per fare i cani da tartufo e alla fine riusciamo sempre a mettere le mani su un'ordinanza di quelle notificate agli arrestati, altrimenti avremmo fatto anche noi la figura di quelli che vogliono coprire qualcuno, in genere i colletti bianchi e i professionisti e tutti quelli che non sono degli anonimi poveri disgraziati. Quelli dei quali ci arrivano le foto direttamente in redazione ogni volta che fanno un reato molto meno grave che rubare milioni allo Stato.

La voglia di apparire è più vile e meschina dell'aggressione

Tanto per restare in tema di comunicazione, è successo anche che qualche sera fa un cittadino indiano ospite di un centro di accoglienza dalle parti di Borgo Santa Maria sia stato vittima di una rapina da parte di alcuni sconosciuti che si sarebbero qualificati come agenti delle forze dell'ordine in borghese. Senza dare il tempo a polizia e carabinieri di verificare l'accaduto e prima ancora che il malcapitato migrante sporgesse formale querela, si sono aperte le cateratte del conformismo vittimista più bieco e snob che la fa da padrone in questi tempi: «Vile aggressione razzista».

Il tam tam innescato da qualche professionista assurto a notorietà sulle spalle degli immigrati e delle loro disgrazie, ha superato qualsiasi ostacolo ottenendo comunicati ufficiali di sindaci, troupe della Rai sul posto, servizi in salsa legalitaria e antirazzista negli orari buoni dei palinsesti tivù, attestati di solidarietà dalle organizzazioni di ogni ordine e grado e dai paladini della legalità ad ogni costo, senza contare il solito polverone nell'universo social. Quando il giorno dopo la polizia ha arrestato uno degli autori della rapina ai danni dell'indiano ed ha fornito le generalità del malvivente, è venuto fuori che si tratta di uno zingaro, o per meglio dire un cittadino romeno di etnia rom. Una circostanza che basta da sola a fugare qualsiasi tentativo di spacciare quell'episodio di trasparente delinquenza comune per qualcosa di diverso, men che meno una vigliaccata di ispirazione razzista.

Ma nessuno ha chiesto scusa, nessuno ha fatto marcia indietro. E' calato il silenzio e basta. In attesa della prossima «provocazione razzista».

La meraviglia delle «passeggiate» al mare e in città

L'ho letto su queste pagine pochi giorni fa, l'amministrazione Coletta ha deciso di intitolare un percorso pedonale al Presidente della Repubblica Sandro Pertini. Bene, mi sono detto, ecco uno che merita di essere ricordato, non importa se soltanto con un cartello segnaletico verticale. Poi ho capito dove si intenderebbe collocare la «passeggiata Pertini», e benché conosca bene il luogo sono andato di proposito a farci un salto, la mia prima escursione sulla futura «passeggiata Pertini», che comincia alle spalle di un gazebo adibito a punto di ristoro e a lato del dormitorio più osceno che abbiamo, sulle scale dell'ex mercato annonario, per allungarsi in un budello ricavato tra due file di auto in sosta che sfocia prima in una piazzola malfrequentata da beoni senza fissa dimora, che riempiono di vino le bottiglie dell'aranciata, in modo da apparire come innocui bevitori di succhi analcolici, e poi si arresta davanti ad una fila di cassonetti dell'immondizia che occupano un intero marciapiede. Con un pò di attenzione si passa dall'altra parte e la passeggiata continua, in uno scenario esattamente identico al precedente: sporcizia, erbacce, ubriachi mattinieri e in fondo un altro sbarramento di cassonetti. Povero Pertini!

Deve essere il destino delle «passeggiate» di Latina, perché anche quella di Portoghesi al Lido, abbellita dai bagni chimici, si difende bene.