Milano, 20 lug. (Adnkronos Salute) - Un mix di armi figlie dell'immunoterapia anticancro potrebbe offrire nuove speranze alle persone colpite da linfomi a cellule B, un tipo di linfomi non Hodgkin. La novità arriva da uno studio italiano pubblicato sul 'Journal for ImmunoTherapy of Cancer', condotto da un team guidato da Antonio Rosato del Dipartimento di scienze chirurgiche, oncologiche e gastroenterologiche (Discog) dell'università di Padova e da Roberta Sommaggio dell'Istituto oncologico veneto (Iov-Irccs). La strategia proposta si basa sulla combinazione di cellule Cik (cellule killer indotte da citochine) e anticorpi monoclonali anti-Cd20. Entro fine anno gli autori contano di partire con i primi test sull'uomo.

I linfomi non Hodgkin (Lnh) - ricorda una nota dell'ateneo padovano - sono tumori maligni che originano dai linfociti B e T, nel tessuto linfatico di linfonodi, milza, timo e midollo osseo. Ad oggi sono identificate più di 40 forme diverse di Lnh, ciascuna caratterizzata da un differente andamento clinico-prognostico e quindi da affrontare con uno specifico approccio terapeutico. Questi tumori in Italia sono la quinta forma di cancro più comune negli uomini e la sesta nelle donne. I Lnh vengono suddivisi in linfomi indolenti (basso grado di malignità) e aggressivi (alto grado di malignità), questi ultimi caratterizzati da un rapido decorso clinico e da una minore sopravvivenza. La forma più frequente è il linfoma B diffuso a grandi cellule (Dlbcl), che rappresenta da solo circa il 40% di tutti i linfomi aggressivi. Diversi studi hanno dimostrato in queste forme un significativo vantaggio terapeutico della combinazione di chemioterapia convenzionale e anticorpi monoclonali (mAbs), con una sopravvivenza libera da malattia a 10 anni dalla diagnosi in circa il 60-70% dei casi. Tuttavia, quando i linfomi aggressivi non rispondono alla terapia standard (refrattari) o recidivano, la prognosi è scarsa.

"Questo studio - spiega Rosato - nasce dalla necessità di trovare approcci alternativi di immunoterapia per il trattamento di pazienti adulti con linfoma B diffuso a grandi cellule che non rispondono alla terapia con Car-T", cellule T del sangue del paziente modificate geneticamente in laboratorio per fare in modo che colpiscano le cellule tumorali, "ed è basato sull'osservazione che le cellule Cik sono in grado di agire contro il tumore facendo in modo che gli anticorpi fungano da Gps per indirizzare la cellula killer al bersaglio, perché riconoscono con precisione assoluta le cellule tumorali in un meccanismo di tipo chiave-serratura. Gli studi in vivo effettuati in modelli preclinici di linfoma B confermano che il trattamento con cellule Cik re-indirizzate con anticorpi anti-Cd20 esercita un maggior effetto di controllo della crescita tumorale e aumenta la sopravvivenza, rispetto all'inoculo di cellule Cik da sole o in associazione ad anticorpi aspecifici".

Le terapie con cellule Car-T - prosegue la nota dell'università di Padova - sono una forma di Terapia cellulare adottiva (Act) che prevede la raccolta di cellule immunitarie dei pazienti, il loro trasferimento in laboratorio per espanderle in elevate quantità, e spesso la loro modificazione genetica per renderle capaci di riconoscere più specificamente il tumore. Queste terapie che prevedono manipolazioni genetiche hanno lo svantaggio di incrementare drammaticamente i costi di produzione, i controlli di qualità e la logistica di somministrazione. Pertanto, la ricerca di approcci alternativi di immunoterapia che siano maggiormente sostenibili per la sanità pubblica assume un ruolo di primaria importanza.

"Una interessante alternativa di terapia cellulare adottiva Act per la cura di malattie neoplastiche che ancora non presentano valide opzioni terapeutiche è rappresentata dalle cellule killer indotte da citochine, le Cik - sottolinea Sommaggio - Le Cik possono essere facilmente ottenute da donatore sano o dal paziente stesso ed espanse in laboratorio, ed esercitano una potente attività citotossica nei confronti di tumori sia ematologici che solidi, ma non di tessuti normali e precursori ematopoietici, e hanno il vantaggio di non richiedere manipolazioni genetiche, con costi di produzione pertanto contenuti. Diversi studi clinici hanno dimostrato la fattibilità e l'efficacia terapeutica delle infusioni di cellule Cik, e la loro bassissima tossicità contro i tessuti normali".

Secondo i dati appena pubblicati, l'approccio di combinazione tra terapia cellulare e anticorpi monoclonali potrebbe rappresentare "una nuova promettente strategia per la cura dei linfomi a cellule B, prospettandosi come una valida alternativa all'utilizzo di Car-T, e aprendo al contempo la possibilità di implementazione e applicazione ad altre tipologie tumorali".

"I risultati di questo lavoro - evidenzia Rosato - sono l'espressione di una marcata multidisciplinarietà e di collaborazione tra diverse realtà del territorio: da una parte l'università di Padova e lo Iov-Irccs, eccellenze nella ricerca e nella oncologia clinica, dall'altra il Laboratorio di terapie cellulari avanzate (Ltca) dell'ospedale San Bortolo di Vicenza, uno fra i pochi laboratori italiani autorizzati dall'Agenzia italiana del farmaco Aifa a produrre medicinali a base di cellule, i cosiddetti Prodotti medicinali di terapia avanzata (Atmp)".

"Grazie a questa sinergia è stato possibile costruire un percorso di traslazione dalla ricerca fino alla produzione del farmaco-cellula. Il prossimo passo - conclude l'esperto - sarà quello della sperimentazione clinica, che si conta di avviare già entro il 2021".