I ricordi arrivano. Giù, a valanga. Sull'Autobus di Stalin, Antonio Pennacchi si rimette in moto. È con Clemente Pernarella. Proprio lì, su quel mezzo dove hanno costruito l'inizio di un'amicizia che ha affondato le radici nell'essere, rigogliose di sentimento nell'anima. Il viaggio riprende. Una risata, un'idea, una litigata che si stempera nel fumo di una sigaretta. Si riparte, per fermarsi sul palco del Teatro Fellini di Pontinia, dove Pernarella e Pennacchi hanno condiviso molte altre emozioni.
I prossimi 19 e 20 novembre, l'omaggio dell'attore (direttore del Fellini) all'amico scrittore scomparso, va in scena. Di nuovo ci sarà la musica dal vivo, con Massimo Gentile e Roberto D'Erme a suonare live sullo sfondo di un testo nato poco dopo l'invasione dell'Iraq (2003) da parte degli Stati Uniti che dal 2001 avevano avviato l'operazione Enduring freedom in Afghanistan. Di intoccabile, restano i concetti espressi attraverso lo scritto: la critica alla fallibilità del tentativo di esportare un sistema politico e culturale e le riflessioni sulla efficacia del sistema democratico, l'idea di un Dio come espressione dell'uomo che sappia prescindere dall'individuo riconoscendo il senso di sé nel flusso storico dell'umanità.
Avviciniamo Clemente Pernarella. La sua mente custodisce aneddoti e ricordi, ma quanti silenzi spezzano l'intervista, il tempo di buttare in gola una commozione difficile da domare.
Dopo tanti anni, ha deciso di riprendere in mano una messa in scena che per lei ha un valore assoluto...
«L'ho deciso e l'ho voluto. Sarà un'edizione speciale dell'Autobus di Stalin. L'ultima volta che lo spettacolo è stato portato in scena risale al 2011, al Piccolo Eliseo di Roma. Con Antonio spesso avevamo ipotizzato l'idea di tornarvi su, ma non c'era mai l'occasione. Ora desidero farlo. È un omaggio, un ringraziamento che mi sento di rivolgere ad Antonio. In fondo questo testo lo abbiamo quasi costruito insieme».
Come nasce la sua amicizia con Pennacchi?
«Per un fatto curioso. L'ho conosciuto nel 2003, dopo l'uscita de ‘Il fasciocomunista', anche se i suoi testi avevo iniziato a leggerli già dal 1996. Mi ero appassionato. A quei tempi mi trovavo ancora in Piemonte. Mi capitò in mano il romanzo, e pensai subito fosse un testo strepitoso, a mio avviso speciale per realizzare un film. Sì, volevo acquistarne i diritti. Nasce da questa esperienza la nostra prima passeggiata. Antonio era interessato, e mi passò i riferimenti di Mondadori. Trascorsero pochi mesi, io ancora inesperto sul campo non comprai i diritti, ed ecco che il progetto sfuma. Una Casa di produzione cinematografica importante si era interessata al romanzo, lo voleva affidare al regista Daniele Luchetti. Che fare? Antonio mi chiamò subito, e io risposi di accettare con serenità. Era il 2005 quando mi presentò il piccolo saggio ‘L'Autobus di Stalin'. Lo aveva scritto per Limes in occasione di un numero speciale sulla Russia. Tra l'altro il testo aveva suscitato feroci polemiche tra gli accademici ucraini. Iniziammo a pensare a una versione teatrale, ma il testo era troppo breve. Antonio però stava rimettendoci le mani, doveva essere pubblicato in una raccolta da Vallecchi nella collana Fuori luogo, tra l'altro pubblicazione oggi introvabile».
Da qui, al lavoro?
«Sai quanto siamo rimasti di fronte al computer? Un quarto d'ora, il tempo della prima litigata, scoppiata al momento di decidere che cosa tagliare. Una litigata che divenne confronto tra una camminata e l'altra, e si concluse con Antonio che a suo modo, mi concesse di fare ‘come c..... ti pare!‘».
Quanto è ancora presente Antonio nelle sue parole!
«Andammo in scena nel 2006, a Torino, in un cinema in via Po. Io lo invitai, e lui rimase tre giorni. Lo spettacolo gli era piaciuto. Ricordo che c'era Boosta dei Subsonica. Era venuto a vedere L'Autobus di Stalin, e finimmo tutti a cena con Antonio che tentava in ogni modo di convincere Boosta a riprendere gli studi universitari. Da lì arrivarono altre rappresentazioni: a Milano, a Roma, a Latina, qui a Pontinia. La frequentazione con Antonio non si è mai fermata, mi permise di lavorare su ‘Occhi verdi' (cortometraggio nel 2008), e quante emozioni nel portare sul palco il capolavoro Premio Strega ‘Canale Mussolini'».
Quanto Pennacchi c'è ne ‘L'Autobus di Stalin'?
«A mio parere si tratta di un testo che racchiude tutta la sua poetica: ci sono l'umorismo ma anche l'approfondimento della cattiveria umana, c'è la sua idea di collettività e la sua visione di Dio. Antonio è uno scrittore grandioso, i suoi libri nascono come saggi storici e diventano iperbole di filosofia, etica morale. L'Autobus di Stalin è un testo profondo ma divertente, dove chiara emerge la sua capacità di analisi, di ribaltare le posizioni. Perché Antonio era così, affrontava le cose con il coraggio di perdersi per poi ritrovare quel punto, il più essenziale, dove si trova il senso: la funzione pubblica dell'arte. Lui riconduceva ogni concetto alla semplicità, che è poi l'impresa più complessa, e tornava sui testi innumerevoli volte. Glielo riconosco, aveva ragione: una virgola spostata, l'uso di un aggettivo rispetto all'altro, risultavano la mossa vincente».
Pernarella, c'è qualche cosa che avrebbe voluto dirgli ancora e non ha fatto in tempo?
«Forse no, credo che ci siamo detti tantissimo io e Antonio, abbiamo anche litigato una infinità di volte. Il fatto lo sai qual è? Che non va via il vuoto dentro. Per me Antonio, dal punto di vista umano e professionale, è stato uno dei più grandi riferimenti. Mi manca per le tante domande che vorrei ancora rivolgergli, domande che non si sarebbero esaurite mai. Sì, tutte le domande possibili mi manca di non potergli ancora fare».
Antonio Pennacchi è morto lo scorso 3 agosto. È uno dei personaggi che hanno segnato, dal punto di vista letterario in Italia e non solo, i primi anni di questo nostro secolo.
A molti potrebbe essere capitato viaggiando sopra un autobus sulla strada di una grande città di incrociare un altro autobus, magari diretto in senso opposto, ma fermo come il vostro in mezzo al traffico. Come è strano sentirsi immediatamente parte di una comunità ed estraneo ad un'altra...