Il miglior augurio di buon anno arriva da una pentolaccia vecchia addobbata come un albero di Natale e da un paio di forbici giganti che a vederle sembra sia già Carnevale: senza lo "Sciuscio" dell'ultima sera dell'anno a Gaeta un altro buon anno non potrebbe iniziare. Sarà per questo che ogni 31 dicembre migliaia di persone sciamano per via Indipendenza e sul corso in processione dietro le bande dello "Sciuscio", il suono ancestrale che accompagna canti popolari, secolari, borbonici in un dialetto incompremsibile ai più. Che, però, cantano lo stesso. La festa di fine anno a Gaeta è una festa del sud profondo, cosparsa di menestrelli che intonano una dolce nenia in omaggio ai commercianti per augurare loro buoni affari e un buon anno di salute e prosperità. Quelli, in cambio, offrono denaro ma soprattutto da bere, il bianco ambrato della collina di Sant'Agostino, e mangiare, la tiella preparata il giorno prima e dunque più buona. Ogni negozio un nuovo concerto, ogni banda ha un suo repertorio e una sua composizione strumentistica dove convivono la tromba, il sax e la pentola vecchia con il tamburello. Tutto è uguale all'anno precedente eppure lo stupore è nuovo. I gruppi musicali dello Sciuscio sono composti da giovanissimi di Gaeta che per il resto dell'anno frequentano scuole di canto, di musica e teatro, la grande tradizione mai persa da queste parti. A suo modo lo Sciuscio è un carnevale vecchia maniera, il rito che scaccia i guai, i pensieri, grasso e ubriaco di vino, fatto di cappelli, sorrisi, caramelle che volano nei bar, segno di abbondanza e abbandono alla festa. Quando assisti a questo spettacolo sei dentro il sud incantato, sei a Gaeta, la città più meridionale di tutte.