Incontriamo Maurizio Galante all'indomani della serata evento che lo ha visto ricevere dal Comune dell'Urbe la Medaglia per i 150 anni di Roma Capitale, prezioso riconoscimento per il suo impegno e la sua attività. Couturier partito da Latina e oggi celebre nel mondo intero, Maurizio non è cambiato: elegante e "libero" come l'abbigliamento che indossa; luminoso, chiaro, esalta l'essere e non l'apparire.
Parla di moda con una profondità rara, e ci sorprende quando rispondendo a una domanda precisa, rivela una sua presa di coscienza avvenuta tempo fa, e che oggi lo porta a dire: «Latina? Non le appartengo più». Il perché lo svela, senza rancore, durante il colloquio che ci concede.
"Roma è di Moda", curata per la Maison Gattinoni da Stefano Dominella, con la direzione artistica di Guillermo Mariotto e il coordinamento di Zètema Progetto Cultura con il Comune di Roma, è andata in scena in Piazza Augusto Imperatore ponendo l'accento sull'ecosostenibilità e l'upcycling, concetti fondamentali promossi dall'Alta Moda che li esprime sposando una coscienza nuova, rispettosa della natura e del pianeta.
Tra danza, prosa, stile e un parterre d'eccezione, hanno sfilato le bellissime creazioni di Gattinoni, Galante, Cavagna, Guardini, Marseglia, e della Fondazione Ferrè con un tributo all'indimenticato stilista esponente di spicco del made in Italy.
Novanta abiti per incantare il pubblico (tulle di cotone, capolavori sartoriali, abiti in corda, tessuti riciclati, tecniche etiche), quindici dei quali firmati Maurizio Galante, una selezione di «Iconic pièces» del suo universo, legata ad un omaggio a Diodoro Siculo grande viaggiatore dell'antichità.
Una moda che guarda al futuro e il nome di uno storico del lontano passato: perché questa scelta?
«Sono stato invitato a questa serata speciale voluta dal Sindaco e ho accettato volentieri, lasciando Parigi. Bellissima la location, al fianco del Mausoleo di Augusto. L'omaggio a Diodoro Siculo è più che altro il tributo alla Roma di un tempo, una città nella quale affluivano molte cose diverse. I racconti di Siculo tramandano una cultura romana multirazziale, generosa, sempre aperta e curiosa verso valori e costumi lontani, pagine e pagine su altre terre, su etnie diverse, descrizioni bellissime come quelle dedicate ad Alessandro Magno».
Abiti cerimoniali esotici, orientali, tuniche di sapore arabo Jalabiya di taglio semplice, pantaloni a motivi floreali in Obi tessuto con fili d'oro e d'argento: quanto rispecchia l'Alta Moda di Galante il concetto dell'ecosostenibilità?
«Il mio lavoro è più che altro con delle associazioni in Marocco, Arabia Saudita. Aiuto le donne artigiane a trovare un posto nella società e una sorta di indipendenza. È un lavoro che ho svolto anche in Messico. Penso che la moda debba essere uno strumento per aiutare, e debba essere soprattutto un'emozione. L'ecosostenibilità è qualcosa alla quale non possiamo più sfuggire, perché la moda rispecchia anche la società, non inventa nulla, racconta e basta. È uno specchio di ciò che accade, vive il suo tempo e ne trasmette l'anima. Mi chiedi se andiamo verso una direzione ecosostenibile? Ci sono due punti fondamentali dei quali tenere conto: il primo è legato all'importanza di internet e alla possibilità di raggiungere tutti. La pubblicità in rete, punta ad evidenziare prodotti privi di additivi, coloranti e così via. È un dovere comunicare questa realtà a tutela del pianeta e della salute. Il secondo punto è che siamo una società di compromessi, quindi bisogna aggiustare piano piano e guardare verso un futuro migliore».
Emozioni, ce n'è un grande bisogno!
«Indubbiamente, e la moda è un veicolo di sogni. Abbiamo di tutto ormai nell'armadio, non abbiamo più bisogno di nulla. Quello che manca sono le emozioni, l'idea di vestirsi per un bel momento, che resti impresso: questo è il ruolo della moda oggi. Nel design è ancora più profondo tutto ciò. Qual è il tuo tavolo? - chiede Galante indicando con il dito la scrivania di fronte a noi -. Questo? Pensa, passi più tempo con il tuo tavolo che con la persona che ami. La scelta che devi fare in merito a degli oggetti è sempre fondamentale, perché ti accompagnano nella vita di tutti i giorni, ti accolgono la sera, ti salutano la mattina. È un rapporto di emozione e di memoria».
La medaglia dei 150 anni di Roma Capitale: quanto la gratifica un omaggio dalla sua terra, lei che ormai da anni e anni in Francia ha ottenuto i più alti attestati di stima?
«Me lo ha chiesto anche Pino Strabioli durante ‘Roma è di Moda', e io gli ho risposto che i riconoscimenti in fondo fanno sempre piacere. È come mettere un piccolo punto su qualcosa che hai fatto nella vita. È anche vero che le persone accanto a te cambiano, e come ti guardano gli altri ti posiziona rispetto all'esterno».
Un ritorno in Italia, e a Latina. Come vede la sua città dopo tanti anni?
«La premessa è che prima di salire qui in Redazione da voi, c'è chi mi ha consigliato di essere ‘come un lama', e chi di ‘smussare gli angoli'. Non sono capace di fare queste cose, parlo con serenità: io non appartengo più a Latina. Me ne sono accorto quando ho tentato di spiegare ad una Scuola e ad una comunità, che forse era il caso di dare al Liceo Artistico il nome di qualcuno che era stato importante in quel contesto didattico, e non solo per me ma per una generazione. Invece la Scuola ha scelto il nome di qualcuno che indubbiamente è importante ma non appartiene a questa terra, non esiste un legame. Quindi mi sono detto: ‘Maurizio, pensa al rapporto che hai con Latina e a come ti poni di fronte ai suoi problemi. Non posso tornare qui, nella mia città, dire buongiorno sapete che io penso che si debba fare così....'. Non appartengo più a questo mondo, e questa verità devo viverla in maniera passiva e felice. Mantengo cari i rapporti con la mia famiglia, gli amici, con i profumi, con i ricordi».
Torniamo alle sfilata di Roma, quali creazioni ha presentato?
«Erano quindici uscite, ognuna all'interno contava dai due ai cinque pezzi. Ho portato modelli iconici, le creazioni più importanti, i lavori realizzati con gli artigiani che più sento vicino a me. L'abito si trasforma in una carta, in una mappa per un viaggio nell'immaginario».
Il viaggio, un tema che ritorna...
«Mi ha sempre attirato. Hai mai letto ‘Il viaggio di Darwin', e quelli di James Cook? Mi affascina chi va verso terre sconosciute alla scoperta di luoghi e saperi. Mi viene in mente un bellissimo romanzo sui diari di Jean-François de La Pérouse, navigatore incredibile sparito nel nulla, che dopo scopriranno essere rimasto ucciso da una burrasca. Questa persona racconta attimo per attimo il significato del viaggiare in un mare sconosciuto, pura emozione, ricerca, attenzione, curiosità. È un'opera incredibile. Io tra qualche mese riparto per l'Arabia Saudita, dove collaboro con un'associazione per il Ministero della Cultura. Mi occupo di condurre dei workshop con le donne del luogo. È un contatto bellissimo, esperienze sempre diverse. Lavoriamo su tecniche ancestrali, come lo è quella beduina di tessitura detta Al-Sadu. In Marocco ho lavorato invece con un sodalizio che si occupa di avvicinare donne e bambini per strada per insegnare loro un mestiere. I piccoli giocano in un asilo nido che si trova vicino alla struttura dell'associazione, così che le mamme possano imparare».
Tessuti green, upcycling, moda ‘green', parliamone?
«A Roma ha sfilato un mio modello realizzato completamente con carte di caramelle, tagliate finissime e annodate l'una con l'altra. L'idea è utilizzare al massimo quello che abbiamo intorno, cioè tutto secondo me».
Ha lasciato l'Italia da lungo tempo ormai e vive in Francia. Quali le più grandi differenze?
«Italia e Francia? Sono come due persone della stessa famiglia ma che hanno visioni diverse, caratteri diversi, nozioni di lavoro diverso e portano quindi a successi e aperture differenti».
Però quella sua affermazione che non appartiene più a Latina non è affatto facile da digerire, e spero sia dettata da un momento di amarezza. Secondo lei qual è il problema di questa città?
«Non so che dire, c'è una sorta di bellezza che però ti lascia dormire. Hai mai visto il film ‘I Vitelloni' di Fellini? Quel gruppo di persone che vogliono vogliono partire ma poi nessuno va, tutti rimangono fermi nello stesso posto? So che sono parole un po' dure, ma è come se qui si viva in uno strano stato di sopore, una sorta di sopravvivenza la definisco io. Ci sta l'individuo al centro, che è più importante della società e del gruppo».
Ci vorrebbe più coraggio?
«Non si tratta di avere più coraggio ma di ‘avere fame'. Non di una minestra o di un piatto caldo. Fame di qualcosa da fare».