Cerca

Il processo

Duplice omicidio a Cisterna, lo sfogo di Amato: «Sodano deve marcire in carcere»

Il padre e marito delle vittime davanti alle telecamere: «Vogliamo solo giustizia». Anche lo zio Gianni presente martedì in tribunale: «Ha ucciso due persone gli devono dare due ergastoli»

All’esterno del tribunale, mentre in aula gli avvocati si alternavano nelle arringhe finali nel processo che vede alla sbarra l’ex maresciallo della Guardia di Finanza Christian Sodano per la morte di Renèe Amato e Nicoletta Zomparelli, Giuseppe — padre e marito delle vittime — insieme allo zio Gianni ha parlato davanti alle telecamere del programma di Canale 5 Dentro la notizia, condotto da Gianluigi Nuzzi. Parole cariche di emozione, nelle quali colpisce un dettaglio: l’imputato non viene mai chiamato per nome, ma definito solo come “l’altro” o “quello”. Un rifiuto di pronunciarne l’identità, come se anche il suono fosse insopportabile: «Stanno ancora parlando degli avvocati dell’altra persona e noi vogliamo l’ergastolo e speriamo che ci arriviamo, ma bisogna aspettare ancora la prossima udienza. Noi vogliamo giustizia, solo questo» ha dichiarato Giuseppe Amato. Una richiesta diretta, che non lascia spazio a interpretazioni. Poi il padre ha parlato dello stato d’animo della figlia Desirèe, l’unica superstite della tragedia: «Come sta? Eh, non bene, non bene. Eh, purtroppo andiamo avanti. Perciò forza». La voce si incrina mentre aggiunge: «Siamo vicini, cerchiamo di sopravvivere». Il racconto si sposta sui rapporti con “quello” e sui messaggi minatori che sarebbero stati inviati alla figlia: «Lo conoscevo da qualche mese, niente di particolare. Sinceramente sembrava una brava persona, sembrava poi invece ecco qua… di questi messaggi non sapevo niente. Se io sapevo una minima cosa sarei intervenuto prima. Mia figlia non ha mai detto di questi messaggi brutti o delle minacce che sono state fatte. Ripeto: se lo sapevo, potevo intervenire prima». E mentre in tutto questi mesi non è arrivato alcun segnale di pentimento da parte dell’imputato, Giuseppe Amato respinge con forza l’idea di scuse: «Lettere di scuse? No, no. A che serve? Mi ha levato la moglie e la figlia e poi mi chiede scusa? Perdonare, che cosa? Io spero solo che la giustizia gli dia l’ergastolo a vita: deve marcire in galera, solo quello». Accanto a lui, lo zio Gianni ha voluto ricordare Nicoletta con parole piene d’affetto: «In tutti questi anni non ho avuto mai un diverbio con lei. Era una splendida persona nella società, si faceva volere bene da tutti, voleva bene a tutti. Voleva bene anche a questa persona. Chiamiamola persona, non so come definirla. Ci domandiamo tutti i giorni, perché? Ma non vediamo giustizia, non vediamo nulla, vogliamo due ergastoli. Ha ucciso due persone». E così, tra il dolore e la rabbia, resta il silenzio su un nome mai pronunciato. Un modo per rifiutare qualsiasi riconoscimento a “quello” che ha distrutto una famiglia, mentre la richiesta di giustizia continua a riempire le giornate di chi resta.

Edizione digitale

Sfoglia il giornale

Acquista l'edizione