Ci sono le discariche ad accoglierti, ma è il meno. Perché il vero pugno allo stomaco che ti dà subito il (fu) polo sportivo di San Martinoâ arriva da altrove. Dallâoblio collettivo. Quello inflitto agli oggetti, ai simboli, ai linguaggi, alle immagini e ai ricordi che ancora campeggiano, malmessi ma resistenti, nel vecchio regno devastato del Terracina calcio. E dei suoi sogni di gloria.
Parlano i cancelli ormai arrugginiti, i box biglietteria abbandonati, parla ancora il graffito dei Boixos, parlano tutti gli oggetti che hanno avuto vita e storia e che oggi sono diventati rifiuto, la tribuna intitolata in tempi recenti ad Angelo Sciscione che guarda allo stadio dedicato a Mario Colavolpe. Parla tutto e sembra quasi di sentire ancora i cori sugli spalti. Di fronte a questo chiacchiericcio delle cose, scompaiono i fastidi per le discariche di eternit che sono allâesterno e compaiono quelli più intimi, che nascono quando vedi dove è finita la memoria. Non è tanto lâerba alta che cresce impietosa quando non la tagli a farti arrabbiare, quanto la muffa che si va appiccicando sullâidentità di una città che, proprio perché ne ha sempre avuta poca, ha eletto il calcio a consolidarla.
Perché, lâarea di San Martino è piena di cose non salvate. Cose che si è deciso di lasciare lì. Che parlano di un calcio forte, sano, dal basso, orgoglioso. Chissà , forse con lâidea che presto o tardi si sarebbe tornati a giocare, a vincere, a cantare sugli spalti e dentro gli spogliatoi, non si è pensato che tutto poteva andare in malora. E così è stato. Nellâedificio del campo B, dove un tempo sorgeva un baretto, gli spogliatoi, i vani tecnici,sembra tutto si sia fermato allâimprovviso. Come per un terremoto. Come al passaggio di un'orda di barbari.
A terra giacciono, distrutte, le coppe dei tanti tornei disputati negli anni. Piccoli grandi tornei, quelli organizzati con sacrifici, per giocare, per stare sempre e comunque in campo. Ci sono cabine elettriche aperte, arredi spianati, perfino la fotografia di un allenatore storico, Gaetano Fiorini, che ha fatto crescere decine e decine di âpulciniâ, meglio di âtigrottiâ nel rettangolo, appesa ancora al muro. Un segno di affetto, di rispetto, un omaggio alla dedizione, spesso gratuita, agli uomini del calcio locale. E poi trofei, striscioni, poster e scudetti. Dovrebbero essere la memoria di tutti, custodita da qualche parte per poi tornare quando tutto tornerà a posto. E invece finiscono con lâessere la memoria di nessuno.Â
Forse câè dellâaltro, sicuramente câè dellâaltro che non sappiamo su questo abbandono. L'impresa che i tifosi stanno portando avanti in questi giorni, con Mia Terracina Supporters, per risalire la china. Le attività con i piccoli calciatori, le famiglie. Un calcio tra la gente. Ma la scena che si para davanti al visitatore ignaro è quella di un cataclisma della memoria, che relega in secondo piano le piscine colpevolmente mai finite, le discariche colpevolmente non pulite e le partite non giocate. Lâunica cosa che viene da chiedere davanti al San Martino e al Colavolpe è: qualcuno salvi la memoria.
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