Molto si è detto e molto si è scritto della villa di Tiberio a Sperlonga, dei celeberrimi gruppi scultorei e dell’intero complesso. Ma poco fino ad ora si sa, invece, di quel che ad oggi è ancora totalmente o parzialmente sommerso dalle acque. Un mondo nascosto, sul quale l’Università “L’Orientale” di Napoli a partire dal 2013 ha puntato i riflettori, con un importante progetto realizzato grazie anche alla Soprintendenza Archeologica del Lazio e dell’Etruria Meridionale e in collaborazione con enti e istituzioni locali. Dal 2014 l’equipe è stata impegnata a Sperlonga e nelle scorse settimane è stato pubblicato il primo resoconto degli studi, con particolare attenzione all’area delle piscine della Grotta di Tiberio e alla zona di Torre Truglia, dove in passato poteva forse esserci un faro. Nell’isolotto, secondo la tradizione, doveva esserci un’area adibita a “caenatio”, una sorta di sala da pranzo estiva. Ma i risultati della ricerca archeologica - si legge nella pubblicazione di Fabrizio Pesando e Michele Stefanile - hanno riservato delle sorprese. È stata evidenziata la presenza di alcune anfore prive di collo e infisse verticalmente nel terreno, che in passato probabilmente doveva essere piuttosto melmoso. L’ipotesi degli studiosi, alla luce di tale rinvenimento, è che le stesse potessero servire come vasi per la coltivazione di determinate specie di piante. E le fonti antiche in merito ci ricordano che Tiberio era appassionato di alcune colture. Ma, anche in considerazione del contesto, non è detto che lì non vi fossero particolari piante lacustri, utili per rievocare il mondo omerico e mitologico narrato dai gruppi scultorei della grotta. Per quel che riguarda invece le vasche, prosciugate quando furono rinvenute le statue marmoree, è probabile che le stesse fossero destinate all’allevamento di murene. È infatti sottolineato nello studio come all’interno delle stesse vi fossero numerose anfore. La disposizione dei ricoveri, inoltre, rimarcherebbe anche la divisione funzionale tra la piscina rettangolare, una peschiera, e quella circolare, il “museo”. Con spazi forse per prede e altri per i predatori, «veri e propri serpenti di mare a pochi metri dai serpenti di marmo del gruppo scultoreo di Scilla e nel cuore di un territorio - si legge nello studio - in cui secondo la tradizione fallì il tentativo di colonizzazione di Amyclae per l’assalto di serpi». Infine si arriva al faro. Nei pressi di Torre Truglia è stata trovata, difatti, una grande struttura a base apparentemente ottagonale, realizzata con materiale di rimpiego. Per ora è difficile dire di cosa si tratti, ma l’ipotesi è che sia l’ultima traccia di un faro che avrebbe potuto occupare il promontorio al tempo del complesso tiberiano. Una struttura in un punto strategico, anche in virtù degli allineamenti col Circeo, Capovento, Monte Orlando e Gaeta.