Permessi a costruire rilasciati e poi annullati, sentenze ignorate e ricorsi infondati. Sono questi i motivi per i quali nel 2016 il Comune di Sperlonga è stato condannato dai giudici amministrativi (in primo o secondo grado) a pagare circa 20mila euro. In qualche caso - tre ad essere precisi - in solido con altri enti, ossia Provincia o Ministero. Questo il quadro attuale dei costi, fermo restando che c’è la possibilità di un eventuale appello per le decisioni di primo grado. Ecco alcuni esempi.


Carte bollate ed edilizia
Andando a vedere le pronunce rese dai tribunali amministrativi, quelle economicamente più gravose per le casse pubbliche sono relative all’edilizia. Il Comune, in buona sostanza, ha dapprima rilasciato dei permessi di costruire e poi ha fatto dietrofront rilevando delle criticità. Questo il caso (sentenza 643/16) di un immobile da demolire e ricostruire per cui l’ente si è accorto della presenza di un’irregolarità edilizia. Un abuso che il Comune in realtà però già conosceva, avendone ordinato la demolizione nel 1993. Per il Tar, comunque, la revoca dei permessi è da annullare, dal momento che l’ente non ha individuato una seria ragione d’interesse pubblico per intervenire in autotutela su atti propri, seppure ritenuti illegittimi: tremila euro di spese. Due casi analoghi (sentenze 191/2016 e 162/2016) riguardano invece degli immobili in località Valle, per i quali l’ente locale ha riscontrato delle criticità per le distanze dal Torrente Canale (5 metri). Ma gli annullamenti, in un caso avvenuti dopo tre anni dal rilascio dei titoli, non hanno riguardato solo tali opere, bensì la totalità del progetto (in un caso undici unità su quattro piani). I giudici del Tar hanno quindi evidenziato la non corrispondenza fra l’oggetto del procedimento contenuto nell’avviso e la misura in concreto adottata, con le spese di giudizio a carico di Comune e Provincia quantificate (sommando i due ricorsi) in 6.500 euro.


Le sentenze dimenticate
Altre uscite per il bilancio comunale sono relative a sentenze “ignorate”. L’ente locale (sentenza 339/2016) si è scordato di eseguire una decisione del giudice di pace del 2013 (doveva corrispondere 607 euro). Di qui un ricorso al Tar per ottemperanza, con condanna del Comune a 1.500 euro di spese di giudizio. O ancora il caso di una sentenza del Consiglio di Stato inerente il rilascio di suolo pubblico (sentenza 144/16). I giudici amministrativi d’appello avevano annullato degli atti, ma il ricorrente, non essendoci stato l’esame della sua istanza, ha presentato un nuovo ricorso che è stato accolto: altri 1.500 euro di spese di giudizio.


Il piano integrato
Ultimo caso (sentenza 754/16) è il ricorso promosso dal Comune contro la Prefettura per il presunto silenzio serbato da quest’ultima sull’istanza dell’amministrazione affinché sollevasse la questione giurisdizionale sul piano integrato. Per il Tar, invece, non c’è stato alcun silenzio. Il prefetto si è pronunciato a maggio e non deve trarre in inganno la formula usata: «non pare sussistano gli estremi per accedere all’istituto». È solo «garbo istituzionale». E per l’ente altri 1.500 euro di spese di giudizio.


Soldi che almeno in parte, come ad esempio quelli dovuti per la mancata ottemperanza delle sentenze, avrebbero potuto essere risparmiati e destinati ad altro.