Facce cotte dal sole e dalla salsedine, facce di pescatori. Le mani tenute in tasca fanno il paio con gli sguardi bassi, quasi un senso di colpa perché sono a terra anziché in mare.
Si chiamano Giovanni, Luigi, Andrea, Mario, Gastone, Eros, Riccardo, e sono alcuni dei pescatori proprietari delle imbarcazioni ormeggiate nel canale di Rio Martino. Sono venticinque in tutto e sono fermi da quasi due mesi, costretti a terra dalla sabbia che ostruisce l'imboccatura del porto canale. Una situazione che si ripete ciclicamente ed anche un po' troppo di frequente, e che ogni volta mette in ginocchio questa gente che si guadagna da vivere con la pesca.
Qualcuno impreca contro i progettisti di questa opera recentemente ripristinata, altri, più anziani, ammettono che in un fondale sabbioso come quello del nostro litorale non c'è soluzione alternativa a quella del dragaggio periodico degli ingressi dei porti.
E la soluzione, la draga, è lì, ormeggiata già da una settimana insieme alle barche dei pescatori, ma anche lei ferma come il resto della flotta. Ma perché?, visto che la draga non ha bisogno di uscire in mare, ma deve lavorare all'interno dell'imboccatura.
«Andate a chiederlo al Comune perché la draga non può lavorare – dicono in coro i pescatori – Siamo andati a parlare, ma ci hanno detto che ci vogliono i tempi tecnici. L'assessore Bellini ci ha detto che serviranno ancora dieci giorni per preparare tutte le carte che servono».
Le carte? Sì, i permessi, le autorizzazioni, le certificazioni, i nullaosta e tutto l'accidente di accessori che si richiedono per smuovere un po' di sabbia all'interno di un bacino d'acqua. Servono perfino l'analisi della sabbia rimossa e un via libera contro il pericolo di incappare in una mina.
«Ma chi la viene a mettere una mina qua dentro? - si domanda Giovanni - Ma quante volte è stato dragato ‘sto canale dalla fine della guerra? Non è mai scoppiato niente. E poi vi rendete conto, l'analisi della sabbia, come se qualcuno l'avesse presa chissà dove e fosse venuto di notte a versarla su questi fondali. Facciamo ridere».
Eppure non c'è niente da ridere, come spiega bene Andrea Amitrano, un altro dei pescatori costretti a terra: «Malgrado i decreti che vengono sfornati ogni giorno per questa emergenza sanitaria, a noi pescatori nessuno ha riconosciuto niente, e va bene così, perché questo vuole significare che possiamo fare il nostro lavoro anche durante la pandemia. Ma adesso sono due mesi che stiamo fermi, per colpa di un banco di sabbia che si potrebbe rimuovere in poche ore di lavoro. Ciascuno di noi ha una famiglia sulle spalle, dobbiamo vivere, mangiare, fare la spesa, pagare le bollette, eppure sembra non interessi a nessuno. Sono decenni che faccio il pescatore con la mia barca qui a Rio Martino, e mi fa male vedere che siano stati spesi tanti soldi per rimettere in ordine un avamporto che non serve a niente e che anzi ci tiene chiusi impedendoci di andare a pescare».
Si inserisce Riccardo, una cinquantina d'anni, faccia vissuta anche la sua.
«La vede la draga laggiù? E' là da dieci giorni ormai e adesso pare ne debba aspettare altri dieci perché mancano dei pezzi di carta. Abbiamo proposto al Comune di lasciare che venga scavato un canale al centro dell'imboccatura del porto, ammucchiando la sabbia ai lati, perché così non dovrebbero servire analisi o altro. Ci bastano meno di due metri di profondità per andare comodi avanti e indietro, e poi, quando tutti i documenti necessari saranno finalmente a posto, si farà il lavoro come si deve. Ma intanto ci mandino a lavorare».
Il proprietario e il comandante della draga hanno assicurato ai pescatori che per scavare il canale al centro del porto servirebbero cinque ore, facciamo pure una giornata di lavoro, ma nessuno dà l'okay. E intanto, mentre i giorni passano, la tensione sale. Ogni giorno qualcuno prova a superare la barriera di sabbia, col risultato che una volta si spezza l'elica, un'altra si danneggia l'invertitore, qualcuno ha fuso il motore. Il rischio di fare danno è alto, ma la disperazione fa brutti scherzi. Ieri mattina una barca è rientrata con un bel carico di pesce, ma è rimasta fuori ad aspettare che salisse la marea per guadagnare quei cinque centimetri d'acqua che le hanno consentito di rientrare.
«Questo momento della stagione è buono per noi pescatori, ci sono le sogliole, i cefali, i polipi e le seppie. Tra venti giorni sarà tutto finito - spiega Eros, uno dei più giovani del gruppo - Siamo l'unica categoria di lavoratori che non si vedrà riconoscere un centesimo di contributo per quello che stiamo subendo. E meno male che il prefetto, che ci ha prestato ascolto, aveva detto ai comuni di Latina e Sabaudia di fare presto con le autorizzazioni. Ora ci risulta che Sabaudia ha fatto quello che doveva, mentre Latina no. Tra di noi, gente di Sabaudia non ce n'è, siamo tutti di Latina. Ed eccoci qua».