Tra coloro che hanno ricevuto la dose di vaccino contro il Covid-19 nel Regno Unito, che è stato il primo Paese nel quale sono iniziate le somministrazioni del candidato messo a punto da Pfizer BioNTech, c'è anche un pontino. Si tratta di Daniele Magni, 29 anni di Latina, infermiere trasferitosi in Inghilterra nel 2018 dopo la laurea in scienze infermieristiche conseguita proprio nel capoluogo. Daniele lavora al Royal Free hospital di Londra, un importante ospedale nel quartiere londinese di Camden e proprio per la sua professione in prima linea contro il Covid, l'11 dicembre scorso, è stato vaccinato contro il virus che anche in Inghilterra sta mietendo tante vittime. Lo raggiungiamo al telefono in un momento di pausa dal sua lavoro.

Daniele di cosa ti occupi in ospedale?
Mi occupo di emergenza in pronto soccorso e degenza breve, fino a luglio lavoravo all'ospedale di Poole nella contea del Dorset ma già da gennaio scorso aveva svolto un colloquio per il Royal Free hospital. La data d'inizio del trasferimento era slittata a causa della pandemia, e da luglio sono qui. Sono a stretto contatto con casi Covid e, per questo ho scelto di vaccinarmi. Il vaccino prevede due dosi, a 21-28 giorni di distanza l'una dall'altra. La prima dose mi è stata somministrata stata l'11, la seconda la riceverò l'8 gennaio.
Come hai affrontato questo momento, dubbi o paure?
Sia dubbi che paure, perché il vaccino è nuovo e leggendo i giornali si ha la sensazione che le certezze siano poche. Allora mi sono documentato sui vari siti del sistema sanitario nazionale. I dubbi maggiori per me erano sul trial eseguito per rendere il vaccino disponibile a distanza di sei mesi perché normalmente le aziende farmaceutiche ci impiegano anni, ma ho potuto appurare che sono state eseguite le stesse fasi di test e controlli di un normale vaccino, solo raggruppate in tempi più brevi ed eseguite su un'ampia fascia di popolazione.

Hai avuto reazioni particolari dopo il vaccino?
In effetti avevo timore per qualche effetto collaterale, ma non ne ho avuti, solo un po' di indolenzimento sulla parte per il siero d'iniezione, ma come mi capita anche quando faccio il vaccino per l'influenza stagionale.

Hai visto questa vaccinazione come un obbligo o come una opportunità? In Italia c'è una polemica in atto su questo punto...
Per me è stata sicuramente una opportunità, qui tra i sanitari abbiamo la scelta se farlo oppure no e io non ho avuto alcun dubbio: il vaccino per il Covid 19 come per qualsiasi altra malattia infettiva è l'ennesima opportunità offerta della scienza per tornare alla normalità. Lo consiglierei al cento per cento.

Da quasi un anno sei in prima linea su uno dei fronti più caldi dell'emergenza, quello ospedaliero. Come hai vissuto la pandemia lontano da casa?
L'ho vissuta male, leggendo ogni giorno notizie dall'Italia più che dai media inglesi. La preoccupazione c'era sentendo gli amici e la famiglia a Latina, in altre situazioni avrei preso il primo aereo per tornare da loro, ma in questo caso non era possibile. E' stata dura, soprattutto quando è scoppiata anche qui la pandemia a fine aprile. I reparti sono stati ampliati, i turni in terapia intensiva sono diventati doppi e tripli che qui non è la normalità come può essere in Italia, siamo passati da turni di 12 ore tre volte a settimana agli stessi turni 5 o 6 volte a settimana. Sia le condizioni morali che fisiche, insomma, non erano ottimali.

In questi momenti hai mai pensato: lascio tutto e torno in Italia?
In verità no, perché all'estero sto bene, ma ho pensato di cambiare lavoro. Vedo tante persone morire a cadenza giornaliera, tre o quattro nel mio reparto quando eravamo fortunati. La cosa più dolorosa è che i malati muiono soli, ci siamo attrezzati con gli Ipad per fare le chiamate con i loro cari, ma quando sono intubati non è più possibile. Chiamiamo i familiari, a volte, per farli venire a dare l'ultimo abbraccio ai loro cari, quando ormai non c'è più speranza. E' uno strazio.