Se ne è andato la notte scorsa – nella nativa Genova – il ragionier Aldo Dapelo. Ha cenato la sera, s'è addormentato e non s'è più svegliato. Avrebbe compiuto 100 anni il prossimo 21 aprile e l'Agro Pontino gli deve molto. Fu probabilmente la figura più interessante che caratterizzò negli anni sessanta – con la Fulgorcavi di Borgo Piave – il prorompente sviluppo industriale ed il decollo sociale ed economico di Latina e provincia.

Nato appunto il 21 aprile del 1921, durante la seconda guerra mondiale era un ufficialetto dei carristi. Catturato dai tedeschi dopo l'8 settembre 1943, riuscì a fuggire e a unirsi alle bande partigiane badogliane partecipando alla guerra di liberazione. Ma già allora – diceva – aveva in mente di diventare imprenditore: "Qui ci si potrebbe fare questo e qui quest'altro", pensava ogni volta che vedeva qualcosa in giro.
Cominciò quindi dal nulla a Savona – il padre era un pasticciere che lavorava sotto padrone – producendo camere d'aria per biciclette in un piccolo cantiere dismesso, in cui prima si allestivano i maiali per la guerra sottomarina. Poi un'avventura appresso all'altra – facendosi prestare i soldi qui e là – finché si mise a fare cavi elettrici e navali, entrando man mano in concorrenza con i più grandi gruppi del settore presenti allora in Italia – la Ceat e la Pirelli – divenendo da Savona, nel giro di qualche anno, il secondo produttore di cavi nazionale, con ben 14 stabilimenti e 2700 dipendenti sparsi per tutto il Paese, dalla Sicilia al Piemonte, Lombardia e Trentino, ed uno in Grecia.

Nei primi anni sessanta – con i contributi della Cassa per il Mezzogiorno – era sbarcato in forze anche a Latina. La Fulgorcavi entrò in produzione nel 1963. Era all'epoca uno stabilimento all'avanguardia, progettato dall'architetto Vittorio D'Erme. La palazzina uffici – un edificio a pilotis che sarebbe piaciuto anche a Le Corbusier – è tuttora di tutto rispetto. Era una fabbrica che sfornava cavi elettrici e telefonici di ogni dimensione, filo di rame smaltato, cavi coassiali e in fibre ottiche venduti in tutto il mondo: Iraq, Iran, Qatar, Venezuela. Negli anni più belli arrivò ad impiegare – nel solo stabilimento di Borgo Piave – 1063 dipendenti, sia uomini che donne, che diedero di tanto in tanto anche vita, giustamente, ad epiche e poderose lotte sindacali.

Nel 1981, in una manifestazione di protesta, andarono perfino ad occupare la centrale nucleare di Borgo Sabotino, allora in piena attività (queste storie stanno, volendo, in Mammut, Mondadori, 2011). Dapelo era un grande imprenditore, ma era pure un canaccio però, certe volte.

A Latina poi realizzò altri due stabilimenti: l'Eurimpianti che faceva carpenteria metallica e l'Elettrica, che produceva pure lei cavi sulla Mediana, davanti alla Plasmon. Era inoltre appassionato di calcio. Già consigliere d'amministrazione del Genoa, a Borgo Piave allestì una grande squadra – il campo sportivo con le tribune, a fianco allo stabilimento, era un gioielletto – che allenata dall'allora impiegato Eugenio Fascetti arrivò in serie D, giocando pure i derby col Latina.
Dopo gli anni d'oro dello sviluppo, sopraggiunsero però quelli della crisi; questo è il destino delle umane cose. La Fulgorcavi di Latina – divenuta nel tempo poi Manuli, Alcatel Cavi e infine Nexans – ha prodotto cavi a Borgo Piave fino al 2010. Adesso è chiusa. Dentro quei capannoni non ci sono più trafile, siluri, cordatrici, laminatoio e smalterie che non si fermavano mai. Tutto tace. Non c'è più niente. Ma per cinquant'anni ha dato lavoro e sussistenza a migliaia di famiglie. Ha dato progresso al territorio. Mario Ferrari – detto Palude – qualche anno fa, poche ore prima di morire, diceva ancora: "Forse la fabbrica ci avrà fatto pure ammalare (maneggiavamo solventi, vernici, gomme, plastiche, rame, amianto, pvc), ma certo ci ha dato da mangiare".

Il figlio di Dapelo – Vittorio – sostiene che fino all'altro giorno, affacciandosi qualche volta alla finestra della stanza, continuasse ogni tanto a bisbigliare: "Lì si potrebbe fare questo, lì quest'altro".
Adesso se ne è andato – a quasi cent'anni però – e sono sicuro che, appena arrivato, avrà cominciato a rompere le scatole anche lassù: "Eh no, belìn! Qui bisogna fare questo e fare quest'altro".
Onore a te, Aldo Dapelo, e onore a Palude e a tutti quelli che hanno lavorato in Fulgorcavi. Riposate tutti in pace.