Una banda cresciuta in un quartiere disagiato, con le idee chiarissime su come affrontare la vita, su come guadagnare senza doversi piegare alla routine e alla fatica di un lavoro, su come arricchirsi spacciando fumo e cocaina, per arrivare al traguardo di acquistare a vent'anni un attico e un'auto di lusso, avere accanto belle ragazze e godere del rispetto del mondo, quel genere di rispetto che si riserva ai duri, ai banditi, ai criminali di spessore, ai prepotenti.
La loro gestualità è altrettanto chiara che le parole snocciolate al ritmo di rap: le mani mimano la pistola, il coltello che taglia la gola, bocche che parlano troppo, bocche cucite, dita che scorrono su mucchi di banconote, braccia che cingono i fianchi di una ragazza ammiccando all'amplesso. E il messaggio è chiaro, diretto: non abbiamo timore di far vedere chi siamo, rivendichiamo il nostro status, non abbiamo paura di nessuno, siamo tosti, siamo invincibili, siamo un modello, siamo pronti a sfidare le regole e anche chi è chiamato a farle rispettare. È una chiamata ad unirsi, a condividere, come quella dei tagliatori di teste degli infedeli costretti in ginocchio prima del rito della decapitazione in diretta social. Ce n'è abbastanza per fermarsi a riflettere e domandarsi come sia possibile essere arrivati a tanto, e chiedersi dove siano stati tutto questo tempo la scuola, le famiglie, i servizi sociali, le pubbliche amministrazioni, i sindaci, la giustizia, la chiesa, le forze dell'ordine, i mezzi di informazione, l'intera società cittadina, quella che ci piace chiamare comunità.
Dove eravamo tutti mentre questi ragazzi crescevano nei cortili dimenticati di questo o quel quartiere popolare inseguendo il mito del più forte e del più cattivo da prendere ad esempio? Si capisce, guardandoli all'opera in quella clip, che sono pieni di energia, anche di fantasia, e non si può non pensare a cosa sarebbero diventati se sottoposti alla disciplina di un allenamento costante in un campo di calcio o di basket, in una palestra, o se avessero avuto confidenza con uno strumento musicale oppure messi da piccoli su un palco a recitare e perché no, su una scrivania a studiare. Adesso che non resta che identificarli e provare a rinchiuderli da qualche parte da dove verranno fuori un giorno più determinati, più cattivi e irredimibili di quanto non siano già, è tardi per eventuali mea culpa e sensi di colpa, ed è troppo presto per pensare di averli bloccati sul nascere e averli sconfitti. Ma la cosa peggiore è la consapevolezza di averli persi, di aver sprecato quelle energie e lasciato che si consegnassero alla parte peggiore di quello che possiamo essere. Quei ragazzi, quella banda e tutte le altre come quella, sono un problema con cui la città di Latina dovrà fare i conti per i prossimi vent'anni. Non resta che fare tesoro di quell'inquietante videoclip per cercare di evitare di trovarsi di fronte a qualcosa del genere tra qualche anno, quando i bambini che già si vedono tra i ragazzi del lotto 47 saranno diventati adolescenti.
L'editoriale
Rap per i Travali... "Tutti padri della peggio gioventù"
Latina - "Dove eravamo tutti mentre questi ragazzi crescevano nei cortili dimenticati di questo o quel quartiere popolare inseguendo il mito del più forte e del più cattivo?"