Avrebbe fatto molto comodo, anche per la campagna vaccinale. Invece è un'arma che ci ritroviamo a non avere a disposizione in questa lunga guerra contro il Covid-19. L'assistenza territoriale italiana è ferma al palo e a rivelarlo è un dossier del Servizio studi della Camera che ha fatto una mappatura della situazione nelle 21 regioni. Partendo dalla storia incompiuta delle Case della Salute che, a 14 anni dalla legge che le ha istituite, non le vede presenti in oltre il 30% delle regioni. Come del resto sono pochi anche gli ospedali di Comunità, che erano stati previsti nel Patto per la Salute 2014-2016 ma per cui solo l'anno scorso sono stati definiti gli standard: in metà delle regioni non ce n'è nemmeno uno. Le aree territoriali con più strutture? Sono Veneto, Emilia Romagna e Toscana. E questo nonostante si parli tanto, anche in vista del Recovery Plan, del potenziamento dell'assistenza territoriale messa in crisi dalla pandemia da Covid. Nel Lazio troviamo 22 Case della Salute, mentre nella nostra provincia la situazione vede, almeno sulla carta, tre Case della Salute, ad Aprilia, Sezze e Priverno, e sette ex Punti di primo intervento (PPI), diventati in seguito Programma delle attività territoriali (PAT, attivi dall'1 gennaio 2020), a Cisterna, Cori, Sezze, Priverno, Sabaudia, Gaeta e Minturno. «L'ampia disomogeneità nel numero di Case della Salute e di Ospedali di Comunità attivi nell'anno 2020 - si legge nel report (su "quotidianosanità.it" il quadro completo) -, documenta la necessità di un approfondito confronto tra le Regioni e Province Autonome, fermo restando come, sulla base della documentazione raccolta, appare evidente come sia in corso un profuso impegno nelle singole Regioni-PA finalizzato al rafforzamento dell'assistenza territoriale, attraverso specifici atti di programmazione».
Nella relazione si chiarisce anche "mentre la declinazione operativa degli Ospedali di Comunità si basa sui contenuti dell'Intesa Stato-Regioni numero 17 del 20 febbraio 2020, la declinazione operativa di Casa della Salute, in assenza di una impostazione condivisa a livello nazionale, è stata intesa come una struttura sanitaria territoriale in cui è prevista l'integrazione tra medici di medicina generale-pediatri di libera scelta ed i servizi sanitari delle Aziende Unità Sanitarie Locali". Pertanto, dall'analisi, conclude la relazione, "emergono diversi potenziali ambiti di approfondimento a livello interregionale: in primis le strutture e i servizi della cosiddetta "rete delle cure intermedie", partendo dal ruolo dei posti nelle Residenze sanitarie assistenziali dedicati alla post-dimissione ospedaliera".
Lente sulle Case della Salute
La Casa della salute, come definita dal Decreto del 2007, è una struttura polivalente in grado di erogare in uno stesso spazio fisico l'insieme delle prestazioni socio-sanitarie, favorendo, attraverso la contiguità spaziale dei servizi e degli operatori, l'unitarietà e l'integrazione dei livelli essenziali delle prestazioni sociosanitarie. In tal senso, la Casa della Salute deve rappresentare il luogo della partecipazione democratica dove i cittadini e le associazioni di tutela dei pazienti contribuiscono alla programmazione dei servizi e delle attività e sono chiamati a valutare i risultati ottenuti in termini di salute e di benessere percepito. "All'interno della struttura - si specifica nel report - devono trovare collocazione gli studi dei Medici di Medicina Generale (MMG) e deve essere garantita la continuità assistenziale 7 giorni su 7 e per le 24 ore attraverso il lavoro in team con i medici di continuità assistenziale (MCA) e di emergenza territoriale (MET). Gli studi di MMG che per ragioni di opportunità non possono trovare spazio all'interno della struttura devono essere in ogni caso a questa collegati con un idoneo sistema a rete che consenta la gestione informatizzata dei dati clinici dei pazienti".