«Un giorno questa stanza avrà un soffitto di stelle, dobbiamo completarlo», ha detto don Francesco Fiorillo stando un po' dritto e un po' curvo sull'uscio di un piccolo antro dove vanno a pregare i genitori dei ragazzi morti troppo presto. Così presto che è impossibile farsene una ragione. Succede più o meno ogni giorno, non importa se feriale, che una coppia con gli occhiali scuri, una donna sola con le sue scarpe da tennis consumate, forse una nonna, vada in quella stanza e si fermi a cercare consolazione. Non si sa se qualcun altro ci aveva mai pensato in provincia a disegnare e realizzare una stanza del genere. Sta di fatto che al Monastero di San Magno di Fondi l'hanno creata per davvero. E' incompleta. Ma c'è quel che serve e aiuta: un piccolo quadro del Novecento, la luce sul fondo, panche. E un silenzio surreale. L'idea di fondo la si comprende girando nel giardino del Monastero, dove un po' tutto è pensato per l'accoglienza. Ma - ci spiegano - quella stanza lì è diversa e speciale perché quando arriva il genitore di un figlio perduto per sempre è difficile trovare parole, mettere in fila frasi, persino ascoltare e così è stato creato uno spazio dove tutto può succedere. Guardarlo da dentro è quasi più complicato che descriverlo.

Richiama alla mente trasposizioni cinematografiche delle morti traumatiche di giovanissimi e la reazione di chi resta, dei genitori soprattutto. La prospettiva che un angolo di uno tra i monumenti più suggestivi ed essenziali della provincia di Latina abbia a che vedere con il dolore irrecuperabile fa la differenza tra questo posto e tutti gli altri.

Il Monastero è a sua volta un simbolo nella vasta comunità cattolica provinciale, un laboratorio di idee e di promozione dei diritti e delle libertà individuali e collettive, Presidio di Libera, visitato con frequenza da don Luigi Ciotti, l'ultima volta pochi giorni fa per una iniziativa sui diritti dei lavoratori immigrati. Appunto. Spesso da queste parti si vedono spesso quelli della Comunità di Sant'Egidio.

Qui la preghiera va di pari passo con l'accoglienza dell'altro e del diverso, con le iniziative sociali, con concerti e dibattiti interrotti (solo in parte) durante la pandemia. Tuttavia quella stanza in fondo alla navata esterna attira più delle molte altre. Forse perché è più silenziosa, forse perché è stata realizzata guardando negli occhi i genitori smarriti che comunque già prima facevano un loro piccolo personale pellegrinaggio verso il Monastero che, pure, non è affatto isolato, appena fuori dal centro della città, a due passi dall'Appia, al centro della provincia, si direbbe un luogo pubblico. Anzi di «pubblica utilità» spirituale in cui gli abbracci virtuali che infondono coraggio sono gratuiti. Funziona? Non importa, probabilmente non è questo rilevante, bensì l'idea di riservare un luogo dove ritrovarsi, che non è una chiesa e non è uno spazio di cura laica bensì qualcosa di altro che nemmeno qui, sul posto, sanno descrivere.

Eppure c'è. Nelle sere belle, di allegria e fratellanza il Monastero di San Magno offre il meglio che si possa chiedere alla Chiesa plurale e accogliente, la Chiesa che non guarda i tuoi difetti e, invece, cerca di lenire i tuoi dolori. La «stanza» non ha mai avuto pubblicità perché non ve ne è stato bisogno. Nel passaparola del pianeta dolente dei genitori rimasti senza i loro figli l'indirizzo, in poco tempo, è arrivato lo stesso.

C'è ancora da fare, ci sono da completare i lavori - dicono al Monastero - però già adesso assolve la sua funzione. Il ruolo del rifugio che non ti aspetti o non avevi considerato potesse esistere.