Partire dalla relazione, dai processi educativi, dall'ascolto. Arriva una lettera aperta dell'ex assessore alla scuola e consigliere comunale Gianmarco Proietti sulla scuola e su quanto sta avvenendo al liceo classico Dante Alighieri, al terzo giorno di occupazione da parte degli studenti.
Ecco la lettera integrale:
"Ci teniamo a manifestare il clima oppressivo e di disagio che stiamo vivendo e che abbiamo segnalato con diverse mail e pec, chiediamo una ispezione dell'Usr perché all'interno della scuola ci sono provvedimenti senza confronto nelle sedi opportune e manca il rispetto degli studenti, non siamo né coinvolti né ascoltati". Sono alquanto disorientanti le parole usate dagli studenti del Liceo Classico di Latina per argomentare la loro protesta di questi giorni.
Tra le varie problematiche alla base delle manifestazioni studentesche, sembra essercene una dai tratti poco circoscrivibili: "il clima oppressivo e di disagio". Affermazione di difficile decodifica, in virtù del fatto che il termine "clima" e l'espressione "di disagio" possono corrispondere a uno spettro di realtà molto ampio, per non parlare dell'aggettivo "oppressivo", che sollecita uno scenario quasi incredibile per un lettore.
Viene da chiedersi cosa potrà mai succedere in un istituto, tanto da sollecitare descrizioni a tal punto allarmanti.
La vaghezza dello scenario parrebbe giustificare l'archiviazione della faccenda, magari rinfrancandoci con l'idea che al liceo pretesti di protesta li abbiamo trovati un po' tutti e così riporre le parole nelle esagerazioni tipiche di un'adolescenza ribelle e temporanea. Eppure qui c'è un dato che, come adulti capaci di responsabilità educativa, non possiamo permetterci di perdere: il dato inequivocabile è che ci sono delle ragazze e dei ragazzi consapevoli di vivere un disagio nel loro contesto scolastico di appartenenza, disagio che stanno mettendo a frutto per mantenere aperto un canale di comunicazione con chi nei loro confronti ha una responsabilità formativa ed educativa, comunicazione tesa a chiedere un di più e una relazione di qualità, che sia di ascolto e di rispetto, dicono. Ecco che siamo ben lontani da un pretesto di protesta. Siamo di fronte a una generazione di adolescenti che negli ultimi 18 mesi ha compiuto un incredibile sforzo adattivo, facendo a meno della soddisfazione di bisogni vitali, con un senso di responsabilità spesso superiore a quello di molti adulti, che sta facendo perno su un profondo desiderio di vita e di benessere, per chiedere alle istituzioni scolastiche di rimanere in relazione, di costruire relazioni positive tra adulti e ragazzi, perché l'assenza di queste ultime è saggiamente percepita dalle ragazze e dai ragazzi del Liceo come l'ennesima privazione troppo onerosa da poter tollerare, troppo.
La scuola prima del Coronavirus rassomigliava ad un apparato industriale, ammalato di fordismo, all'interno del quale si svolgevano funzioni esecutive, regolate da procedure e tempi rigidi.
Una scuola fuori contesto prima che oggi appare assolutamente inutile, con l'ulteriore consapevolezza che nel grande meccanismo, ogni ingranaggio è sostituibile. Per questo, prima di partire (non di ri-partire) sarebbe stato opportuno prendersi un tempo, quel tempo che avrebbe consentito di predisporre le condizioni organizzative per progettare e gestire scuole flessibili e intelligenti. Scuole nuove, con nuove forme di orario e di organizzazione. La comunità educante avrebbe dovuto sforzarsi di progettare una risposta educativa complessa e nuova perché sapeva di dover affrontare un tempo completamente nuovo, mai vissuto prima. Era necessario considerare, in questa strana e poca che tende a sopravvalutare la sicurezza sull'educazione, una rivisitazione delle norme e dei regolamenti interni alla scuola: sarebbe stato opportuno riconfigurare i sistemi regolamentari in modo tale da consentire spazi e tempi di sempre maggiore autonomia e responsabilità nella vita scolastica degli studenti (dando evidenza di queste scelte nei documenti sulla sicurezza, nei progetti educativi o Piani dell'Offerta Formativa). Una scuola d'avanguardia si apre all'esterno e diventa baricentro e luogo di riferimento per la comunità locale: aumentando la vivibilità dei suoi spazi, la loro fruibilità, diventa un civic centre in grado di fare da volano alle esigenze della cittadinanza e di dare impulso e sviluppo a istanze culturali, formative e sociali.
Anche la famiglia doveva essere opportunamente coinvolta nel cambiamento di paradigma, in un nuovo contratto educativo che mettesse in chiaro le modalità entro le quali la scuola decidesse di educare gli studenti all'autoregolazione e alla responsabilità, allo sviluppo di competenze e alla relazione, entro un sistema sufficientemente sicuro.
Interessante anche sottolineare come la protesta sia nata dal mal funzionamento dei termosifoni. La ricerca di uno "star bene a scuola" che da una considerazione tecnica si espande alla ricerca di un "benessere" complesso e integrale.
Invece, da quanto leggiamo, si è preferiti ri-partire, e non "partire": come se i due anni tragicamente vissuti non fossero trascorsi se non per lasciare qualche disinfettante sulla cattedra, qualche accesso secondario riscoperto e una rimodulazione degli orari fino alle 16:00 senza possibilità né tempo per la mensa. Leggiamo note scritte con arrogante fastidio solo per la presenza dei genitori nel contesto scolastico, altre scritte con impulsività e rabbia perdendo la necessaria asimmetria del dialogo tra educatore e educato: tutte imponendo staticità e opposizione a qualunque cambiamento, derogando il ruolo educativo in nome della sicurezza (non è chiaro di chi).
Le istituzioni scolastiche erano nella posizione di poter scegliere. E forse, voglio sperare, lo sono ancora. Oggi però non possiamo più permetterci una scuola che si autoesonera, non per trascuratezza ma per definizione, di avere a che fare con i processi educativi. Le scuole possono scegliere di percepirsi esclusivamente in termini di ruoli e istituzioni: docente, dirigente scolastico o direttore, possono essere confinati alla dimensione del ruolo, della mansione da compiere, secondo quanto la norma stabilisce. Se sceglieranno di orientarsi in questo senso, saranno senz'altro ineccepibili, tecnicamente efficienti, ma anche tragicamente sostituibili. Se sceglieranno questa posizione, non incontreranno mai questi ragazzi e queste ragazze, non avranno orecchie per sentire e occhi per vedere, le loro parole resteranno medi e vaghi pretesti di protesta. Ma se sceglieranno di incarnare i loro ruoli attingendo alle loro risorse personali, ai loro occhi e alle loro orecchie, alla loro cultura, ciceronianamente intesa, allora le parole di questi ragazzi e di queste ragazze suoneranno un'altra musica, più chiara e distinta: quella dell'armonia dell'interdipendenza tra adulti e giovani, quella che impegna i primi nell' accompagnare i secondi ad affacciarsi alla vita, anche quando fa paura, sia ai primi che ai secondi.
Gianmarco Proietti