Sono un po' invisibili e un po' rassegnate le aziende che stanno combattendo una guerra a bassa intensità legata alla carenza di materie prime e/o al relativo aumento discriminato dei prezzi.

Le più esposte, per una questione statistica, sono le imprese agricole, quelle che spingono da anni l'export provinciale fino a farne un caso nazionale insieme alla produzione chimico farmaceutica. Eppure, adesso che scontano gli effetti della crisi nell'approvvigionamento di materie prime, sono rimaste senza rete.

In queste settimane si sta già lavorando per sostituire pezzi importanti della filiera produttiva, dal ferro alla plastica, alluminio, componenti elettronici e su tutto si staglia l'ombra dell'incertezza ma anche della difficoltà a trasferire l'aumento dei costi alla produzione sulla distribuzione, specie quella organizzata che è la rete più importante da cui dipende l'agricoltura pontina.

E' una vecchia storia, che si ripete. E' accaduto con l'aumento dei costi alla base della produzione di latte, poi con quelli dell'energia e adesso tocca alle materie prime.

Un nodo che è stato affrontato in ambito industriale, dove alcune delle filiere più importanti si sono dovute fermare o hanno rallentato moltissimo per la carenza di materie prime e componentistica.

Invece l'agricoltura, pure questa volta, non ha destato clamore né preoccupazioni, pur essendo il settore più importante e dinamico dell'economia della provincia di Latina.

Un aumento dei prezzi legato a quelli delle materie prime non è possibile perché le grandi piattaforme di distribuzione non sono disposte a trattare in quanto ciò comporterebbe un aumento a consumo. Ma in questo modo il meccanismo è inceppato e sono decine ormai le aziende agricole, anche di media grandezza, a ipotizzare un blocco della produzione perché i costi sono troppo elevati e offrono margini troppo bassi per poter andare avanti. A dire il vero non è un gap insuperabile per tutti. Nella catena di aumento dei prezzi di produzione e riduzione dei margini di guadagno c'è un cuscinetto su cui si scaricano molte delle difficoltà del settore; si tratta del costo del lavoro. Nel comparto agricolo provinciale si registra già il più alto tasso di sfruttamento del lavoro, con una diffusione allarmante di caporalato e retribuzioni molto più basse della media dei contratti di categoria.

Se nelle pieghe dei rapporti irregolari si inserisce anche un aumento degli altri costi è plausibile che tutte le battaglie sull'emersione possano naufragare proprio adesso che si stanno raggiungendo i primi risultati positivi e per una causa esogena al sistema.

Le organizzazioni delle imprese agricole chiedono non sconti fiscali né agevolazioni ma una trattativa seria e trasparente con le piattaforme distributive per aumentare il prezzo pagato ai produttori almeno fino a quando il costo delle materie prime essenziali alla produzione ortofrutticola resteranno quelli attuali. I tentativi fatti finora per cercare di spuntare un accordo più favorevole sui prezzi della produzione orticola sono andati a vuoto e riguardano ciò che succederà non nell'immediato, bensì sui quantitativi che arriveranno ai consumatori a primavera, di cui al momento sembra più o meno assurdo preoccuparsi. Persino nel triangolo agricolo più importante per l'agricoltura del centro Italia.