L'intervista
13.03.2024 - 20:29
Una impresa audace, così l'architetto Daniela Cavallo mesi fa ha definito la candidatura di Latina a Capitale della cultura 2026 di cui è stata una delle prime artefici. Un lavoro enorme, l'impresa ristretta in poco tempo, di offrire una immagine di Latina non convenzionale e ricca di prospettive, di passato e di futuro per sfidare tante altre città italiane sul piano della cultura. Il capoluogo è entrato tra le dieci finaliste, ha affrontato una audizione pubblica e domani saprà il verdetto. Una candidatura che ha diviso moltissimo raccogliendo tante disfattismo e tante critiche, alcune ragionate, altre molte severe. A voler offrire un punto di vista diverso, di chi vede la città a distanza con lucidità ma la vive e la frequenta spesso oltre ad averla raccontata in passato con dedizione e profondità intrecciando realtà e cinema, è il registra Gianfranco Pannone che ha dato anche un suo contributo agli eventi della candidatura con la sezione di 'CinemAutografo'.
Pannone, cosa pensa di questa candidatura e del lavoro svolto?
Quando ho saputo della proposta di candidatura di Latina e sono stato cercato dall'avvocato Cavallo e dall'architetto Massimo Rosolini tramite Emilio Andreoli, ho pensato che era una iniziativa interessante ma forse fatta di corsa, in tempi troppo stretti. Provare a lanciarsi in questo progetto era importante, ma già all'epoca dissi a Rosolini: si potevano aspettare due anni. Non ne faccio un discorso politico, al di là delle gestioni di destra e di sinistra la città ha dei problemi importanti, basti pensare al teatro, agli spazi culturali, allo stato dei musei cittadini, alla ricezione alberghiera. Sono criticità che non puoi risolvere con la bacchetta magica. Una città che non ha un teatro che funziona veramente con un progetto di gestione strutturato, è una città che fa fatica a presentarsi. Chi vive la città, e anche persone come me che la vivono da fuori ma la frequentano spesso, ne conosce sia i limiti che le grandi potenzialità. Al di là dei dubbi il fatto che si discuta della nostra città è importante, e per questa ragione ho visto il lato positivo del percorso senza preclusioni nonostante non sia vicino a questa giunta. Ho aderito alla loro proposta con un progetto cinematografico che prevedeva un film realizzato sul nostro territorio per ogni decennio, da ‘Camicia nera' a ‘Mio fratello è figlio unico' arrivando fino ai nostri giorni.
Che cosa è mancato secondo lei nel percorso costruito dall'amministrazione?
Quello che è mancato è un dibattito sul programma, capisco che non si poteva diffondere nei dettagli il dossier, però si poteva fare di più, e anche ampliare il dibattito senza legarlo al discorso politico. Si poteva, ad esempio, avviare un confronto su cosa è la nostra città oggi, una città che ha già fatto i conti con un passato scomodo, e su cosa può offrire per raccontare una storia diversa. Latina è la città che Renato Nicolini definiva senza mura perché nuova, che ha qualcosa da regalare, è la città aperta sul mare e necessariamente aperta al mondo, Latina è una città diversa dalle altre e meriterebbe una attenzione maggiore rivolta alla sua storia. Questa esperienza ci deve insegnare come comunità che tutto va ripetuto avendo il tempo di ripartire dalla crescita della città.
Quale altro canale per valorizzarla si sarebbe potuto utilizzare?
Con Massimo Ferrari avevamo realizzato un progetto documentario con il liceo artistico Buonarroti dal titolo ‘Latineide: 90 anni della città' fornendo alcuni spunti che potevano essere utilizzati e che abbiamo proposto all'amministrazione. Come quello di mettere dei cartelli nei luoghi importanti della città, Palazzo M, piazza della Libertà, Piazza del Popolo ricreando un museo diffuso e dando il giusto rilievo alla storia di Latina nel Novecento ma anche alla città del Dopoguerra. Nel film parliamo sia di Palazzo Pennacchi che del campo profughi, non solo la città razionalista ma anche la città del Dopoguerra. Ci si poteva lavorare per dare un senso alla città, perché Latina è come se fosse apparentemente città non sense.
Città non sense è una definizione coraggiosa.
Ho detto apparentemente, perché è una città giovane senza un collante vero: superato il discorso del fascismo che si spera assimilato e digerito, secondo me la sua storia e i suoi simboli andrebbero resi espliciti in fatti concreti. Mettere dei cartelli significa storicizzare e dare la possibilità ai giovani di sapere dove vivono e di fare i conti con la giusta distanza dal passato. Latina vive una strana situazione, quelli che sono gli eredi di questa storia passata non ne parlano sufficientemente. Per questo servono atti reali per valorizzare la città lavorando sulle risorse del territorio: riaprire i musei e dar loro un valore, creare un museo all'aperto diffuso. 'Latina bonum facere' nasce dal documentario fatto per la fondazione Caetani, ecco c'era un rapporto più diretto che andava costruito con il territorio anche attraverso figure importanti che non sono state coinvolte.
Parliamone
Il rapporto poteva essere diretto anche con altri personaggi della cultura e dello spettacolo, Massimiliano Farau, Renato Chiocca, Massimo Ferrari, Clemente Pernarella, Emanuela Gasbarroni, Carla Falconi, arrivando anche a cercare un testimonial importante come Tiziano Ferro, senza poi dimenticare Antonio Pennacchi e tutto quello che rappresenta per la città, ricordato nel programma ma in maniera un po' banda... I progetti delle altre città erano più organici con personalità dello spettacolo e della cultura più forti. Si è parlato tanto di economia e ricettività, ma un'aspirante capitale della cultura deve offrire qualcosa di culturalmente strutturato. Prendiamolo come spunto per migliorare la città e per ripresentarci a una prossima tornata, è una sfida. E senza competitor interni...
Allude a Gaeta?
Sì, sicuramente dobbiamo evitare di presentare una doppia candidatura in provincia. Gaeta ci lavorava da tempo e ci dimostra che la provincia è composita. Presentarsi insieme ha sfiorato il masochismo. Forse c'è stata un po' di presunzione della giunta che ha confidato nel clima favorevole di governo. Tanti tasselli che hanno bruciato le possibilità di una città dalle potenzialità enormi....
Cosa resta di questo percorso?
E' stato un momento importante per far discutere la città su se stessa come non aveva mai fatto. Ne è emerso anche un vulnus, quel clima pessimista e disfattista che non ci ha aiutato. La città ha un problema di governo che è trasversale alle gestioni politiche che l'hanno attraversata, paghiamo gli errori fatti in passato e questo genera una negatività diffusa. Vivo a Roma, ma torno spesso qui e questa distanza mi fa dire che c'è un eccesso di sfiducia tra i latinensi che non fa bene alla città. Su questo l'architetto Cavallo ha ragione. All'amministrazione rimprovero di essere andata di corsa e di non aver coinvolto abbastanza la città. Ci voleva razionalità e passione, passione e ragione sono un po' mancate, citando Pasolini, per eccesso di sfiducia da una parte e per eccesso di prosopopea dall'altra. Ma prendiamola come una critica costruttiva per il futuro.
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