Non può continuare a morire in silenzio. È vero, le difficoltà sono tante, ma non è pensabile che la più importante sughereta dell'Italia peninsulare, giustamente inserita in un sito di interesse comunitario, venga "divorata" dal fungo patogeno che l'ha attaccata senza che si faccia di più per salvarla. In pochi anni l'azione infestante è cresciuta del 75% e i dati non sono neppure aggiornati. Dopo i tentativi iniziali di armare una battaglia contro il "phytophthora cinnamomi", questo il nome del parassita, i tentativi si sono fermati nel momento in cui dalle parole bisognava passare ai fatti. Ora il caso della sughereta di San Vito, a Monte San Biagio, finisce in Consiglio regionale del Lazio. Sono stati i consiglieri del Movimento 5 Stelle Gaia Pernarella e Valentina Corrado a presentare un'interrogazione urgente agli assessori Mauro Buschini e Carlo Hausmann, con delega rispettivamente ad Ambiente e Agricoltura.
Era il 2010 quando l'allora sindaco di Monte San Biagio segnalò il deperimento del bosco. Due anni più tardi, in seguito alle prime indagini, fu perimetrato il focolaio dell'epidemia per una superficie di sette ettari. A causare il contagio rapidissimo, la diffusione del parassita tramite acqua di scorrimento, residui di terra sugli zoccoli degli animali e pneumatici dei veicoli. La minaccia venne presa molto sul serio. Grazie a un accordo con l'università della Tuscia, in collaborazione con Regione, Parco degli Ausoni e Comune, e col prezioso supporto delle associazioni locali, vennero eseguiti studi mirati. Si arrivò a un protocollo articolato in diverse fasi per un costo stimato di 15mila euro per ettaro. Neppure troppo. Ma il tempo passa, come i timori del resto. Andrea Vannini, docente di Patologia vegetale della Tuscia, nel giugno del 2014 segnalò «la rapida estensione delle chiarie dovute ai focolai d'infezione». A rischio, faceva notare l'esperto, c'era «la sopravvivenza della foresta».
Se nel 2012 la superficie "aggredita" dal fungo era di sette ettari, nel 2015 la zona interessata aveva raggiunto i dodici ettari. La crescita è del 75%. Tra le ultime tracce della battaglia a difesa della sughereta di San Vito c'è un tavolo tecnico convocato nel 2015 ed esteso a organi regionali, Comune, Corpo forestale, Provincia e associazioni. Vennero presi impegni precisi: impedire il movimento del suolo e della pianta infetta, attuare drenaggi e canalizzazioni delle acque superficiali. Ma soprattutto evitare nelle aree colpite il passaggio sia di automezzi che di animali al pascolo. Cosa è stato fatto? Sono passati due anni e l'epidemia non è stata sconfitta. Non si è fermata, i danni sono gravissimi.