Ottantacinque anni fa – il 30 giugno 1932 – veniva fondata Littoria. O meglio, più che fondata veniva rifondata, essendo stata costruita – previa intera rimozione o demolizione – sul Villaggio del Quadrato, un centro abitato e fiorente, impiantato già nel 1926 dal Consorzio di Piscinara in mezzo alle Paludi da bonificare. E stava proprio lì dove sta adesso Latina: con il suo centro nel centro stesso di piazza del Popolo.
Dice: "Vabbe', ma questa è roba di storici, filologi, archeologi. Che ce ne frega a noi?".
No. Tu mo' devi andare a vedere – se davvero vuoi ricambiare nome alla città e lo fai, come sostieni, non per provocazione politica o pubblicità, ma per esclusivo rispetto della storia – se la devi chiamare Littoria o Quadrato. La storia è storia, non è che puoi fare come ti pare: prima si chiamava Quadrato, poi Littoria e infine Latina. Non ti sta più bene? E allora – ai sensi storico-filologici – la devi richiamare Quadrato. O Latina o Quadrato, non c'è un cazzo da fa'. L'unico modo in cui non la puoi chiamare – se la storia è storia – è proprio Littoria, perché è vero che lei è venuta prima di Latina, ma ancora prima di lei c'era il Quadrato. Mica era più stupido, il Quadrato.

"Chi la fa l'aspetti" è uno dei primi insegnamenti della storia. O quando era il fascismo a cambiare i nomi andava bene, quando poi li ha cambiati la Repubblica non va bene più? Bisogna che ti dai una regolata. Ma passiamo a cose serie, se possibile.
Resta infatti che ottantacinque anni fa, il 30 giugno 1932, il conte Valentino Orsolini Cencelli, posando la prima pietra della torre del comune, dà inizio in pompa magna – contro i voleri e i desiderata del Duce – a quella avventura urbana chiamata prima Littoria e poi Latina, che fra solo quindici anni compirà un secolo di vita. Passano in un soffio. Non ci vuole niente. Basta un battito d'ali e saremo già lì: al Centenario di Latina.
Ma occorre arrivarci preparati. Se non ci si pensa bene in tempo, poi di fretta si fanno le cazzate. Il sindaco Coletta chiami l'intera città, tutte le forze politiche, imprenditoriali e sociali, gli intellettuali eccetera, e si diano strutture e vita ad un comitato unitario ad hoc, che operi in questi quindici anni.

Certo, nessuno è in grado di dire chi sarà al governo della città nel 2032, e nemmeno – io per primo – se ci sarà, purtroppo. Ma tutti oggi abbiamo il dovere di lavorare per quell'obiettivo: costruire una città – sia in senso di urbs che di civitas – all'altezza del suo Centenario, e presentarla come tale alla comunità nazionale e a quella europea, planetaria e globale. C'è una parola d'ordine – "Dalle Paludi allo Spazio" – che può essere interamente alla nostra portata, se solo lo vogliamo. Basta guardare a quel che siamo – crogiuolo di razze ed etnie, stirpi variegate, frutto unitario dei lombi di migranti, coloni e bonificatori – e da qui ripartire. Senza timore del futuro, osandolo anzi presagire, contando sulle nostre forze e lottando con tenacia. Ma bisogna cominciare a lavorarci adesso. Ogni minuto che passa, è un minuto perso: il Secolo sta qua. Dietro l'angolo.
Intanto però – in questo 30 giugno 2017, 85° di Latina – è doveroso rendere omaggio e ricordo a tutti quelli che hanno reso possibile questa storia: gli operai, i tecnici, i progettisti, i dirigenti anche politici ed economici e tutte le loro famiglie. Ma soprattutto al vero fondatore – o rifondatore – della città: Valentino Orsolini Cencelli.
È lui il Pater Patriae. Senza di lui Latina – e prima ancora Littoria – non sarebbe quello che è. È lui che la volle e la impose. Il Duce non la voleva (esistono agli atti gli autografi che dicono: "Non me ne parlate proprio. Io sono contro le città. Silenzio stampa assoluto"). È lui che gliela fa – Orsolini Cencelli – e il Duce prima si incazza, poi col tempo gli piace e alla fine s'innamora. E si presenta qua il 18 dicembre 1932 – sei mesi dopo – a inaugurarla e battezzarla: "È tutto merito mio. Agò fato tuto mi". Ma chi l'aveva ingravidata la palude – chi aveva messo il seme; contro, ripeto, il volere di Mussolini – era stato Orsolini Cencelli. Che poi fondò pure Sabaudia e Pontinia. Un poleurgo. Un creatore di città. Che però la sua prima città – la prediletta – ottantacinque anni dopo non se lo fila per niente. Lui nella tomba starà dicendo: "Ingrata patria ti venga un accidente".
Non c'è una via degna di questo nome – a Latina – intitolata a Cencelli (non ditemi: "No, ci sono i giardini di viale Italia", perché allora mi fate arrabbiare. I giardini? Non la via: i giardini? E chi se lo rifila ai giardini Cencelli? Neanche i cani che ci vanno a urinare). Non c'è un monumento, una targa, che lo ricordi.

Sono anni – ancora dai tempi dei sindaci fasci Di Giorgi e Zaccheo – che scrivo e che chiedo l'erezione in piazza del Popolo di un grande monumento equestre di bronzo, come hanno tutte le città che si rispettano e rispettino il loro Pater Patriae e fondatore. Un Cencelli a cavallo – che ci vuole? – tale e quale a come lui girava per le Paludi Pontine. Ma niente. Vuoi vedere che adesso che non ci stanno più i fasci, in Comune, è l'ora buona perché il monumento si faccia?
Magari con una sottoscrizione pubblica e con i tempi che pure occorrono, ma da qui al Centenario lo vogliamo fare questo cazzo di monumento o no? E se di bronzo costa troppo, facciamolo di plastica ve possinammazzà, tanto è pop-art e su qualche rivista ci va. No, solo gli apparecchi al Colosseo, e quel cazzabubu – un fascio sgarrupato a strale – sotto l'Intendenza di finanza. E che è piazza del Popolo: uno sfasciacarrozze?
Ma se per il monumento può volerci pure qualche anno, per intitolargli una via significativa no, non ci vuole niente, basta un minimo di impegno. Anche qui sono anni – dai tempi ripeto di Zaccheo e Di Giorgi – che scrivo e che chiedo di intitolargli almeno la cosiddetta via del Lido, quella che va al mare. È bella, è larga, è alberata. È la via più piena di vita, il polmone vero su cui fanno avanti e indietro, dalla città al mare ogni giorno, tutte le generazioni di giovani dal 1960 ad oggi. È la strada del presente e del futuro. E tu continui a chiamarla anodinamente "via del Lido" (dice: "Che vuol dire anodinamente?". Vuol dire un nome che non sa di un cazzo. Ancora ancora fosse "via del Mare" magari, ma quella c'è già e va a Fogliano e Rio Martino). Chiamala "Viale Orsolini Cencelli", allora: doppio cognome, degna titolazione, un tale Padre per una tale Via. Che mi rappresenta sennò "via del Lido"? Spaghetti senza sale, birra calda svampita, il nulla assoluto. Vuoi mettere "Viale Orsolini Cencelli", invece? Basta la parola. È la strada stessa che si mette a ballare per la contentezza.
Pare però che al sindaco Coletta – esattamente come prima a Di Giorgi e Zaccheo – la burocrazia comunale abbia assicurato: "Non si può fare. Troppi indirizzi da cambiare, troppe difficoltà da superare". E lui: "Ah, sì? Mi dispiace, scusate il disturbo, arrivederci e grazie".
Eh no, Sindaco: questi ci prendono in giro. E dietro c'è la pigrizia intellettuale di un apparato che non vuole semplicemente impicci: "Uff, che palle! Ma tu mi vuoi fa' lavora'?". Incapaci di creare e di farsi venire un'idea nuova, vogliono solo navigare sul già navigato, percorrere i sentieri già battuti – la forma delle procedure; la forma però, non la sostanza – fare quello che hanno sempre fatto o visto fare. Manco ai cani, una cosa nuova. E se gliela chiedi: "Ah, non si può fare".
Ma tu mo' mi devi dire – nell'età dell'informatica – se può essere un problema cambiare degli indirizzi. E quanto ci vuole a mandare delle mail, o delle pecette adesive da attaccare sui documenti? Cambiano nomi e indirizzi in tutto il mondo, solo via del Lido non si può cambiare? Ma anche se fosse – e ci volesse davvero un po' di tempo e di lavoro – noi allora ci dobbiamo tenere per i secoli dei secoli, da qui a tutta l'eternità e le nostre intere generazioni, pure tra duemila anni quando sia noi che i pronipoti dei nostri pronipoti saranno polvere, noi ci dobbiamo tenere un nome che non valorizza ma anzi svilisce l'arteria più importante, l'asse che da Latina ci porta al Mare? Ma che gli dice la capoccia?
Sindaco, se ci sei batti un colpo. Chiama i tuoi impiegati e digli: "Pussa via, brutte bertucce, non state a rompere i coglioni. Inventatevi quello che vi pare, ma intitolate via del Lido a Orsolini Cencelli. Punto e basta".