Il processo di fusione tra le Camere di commercio di Frosinone e Latina rischia di impantanarsi. A fornire un assist alle speranze di chi si oppone alla Camera di commercio unica nel basso Lazio è il Tar di Roma che, con un'ordinanza sul ricorso presentato dalla Camera di commercio di Pavia contro l'accorpamento con Mantova e Cremona, ha rimesso gli atti alla Corte Costituzionale.
La sezione "terza ter" del Tribunale amministrativo regionale ha ritenuto «non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 10 della legge 7 agosto 2015, n. 124, e dell'art. 3 decreto legislativo 25 novembre 2016, n. 219, nella parte in cui prevede il parere, anziché l'intesa, con riferimento al principio di leale collaborazione».
Da Pavia hanno impugnato il decreto ministeriale del 16 febbraio 2018 e gli atti connessi, nella parte in cui, in attuazione dell'articolo 3 del decreto legislativo n. 219 recependo la proposta di Unioncamere, dispone l'accorpamento.
«Il decreto ministeriale è identico - osserva il Tar - al decreto ministeriale 8 agosto 2017, e sostituito dopo la pronuncia della Corte Costituzionale che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 3, comma 4 del decreto legislativo 25 novembre 2016, n. 219, nella parte in cui stabilisce che il decreto del ministro dello Sviluppo economico deve essere adottato sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, anziché previa intesa». E infatti era stato adottato un nuovo schema di decreto, analogo al precedente, ai fini del raggiungimento dell'intesa con gli enti regionali. L'intesa, a seguito di una serie di obiezioni formulate dalle regioni, era saltata. Tuttavia, il Consiglio dei ministri autorizzava il ministero ad adottare il decreto.
In particolare, nel ricorso della Camera di commercio di Pavia è stata contestata «l'elusione sostanziale dei principi in materia d'intesa tra Stato e Regione». Un'elusione che nasce a monte, ovvero nel momento in cui con la legge numero 124 del 2015 è conferita al Governo la delega per la riforma degli enti camerali. La legge 124 prevede la riduzione delle camere di commercio dalle attuali 105 «a non più di 60».
Il Tar di Roma, quindi, «dubita della legittimità costituzionale» della norma di delega e della norma delegata ed intende sottoporle al sindacato della Corte Costituzionale, per violazione del principio di leale collaborazione Stato-Regioni nell'esercizio della funzione legislativa. Sostiene la Camera di Commercio di Pavia che «la legge di delega, nel richiedere per il decreto legislativo il mero parere» (e non l'intesa) «della Conferenza Stato-Regioni, risultava illegittima e tale illegittimità avrebbe dovuto travolgere lo stesso decreto legislativo, con conseguenza illegittimità dei relativi procedimenti attuativi».
Il Tar ricorda la precedente pronuncia della Corte Costituzionale che ha già dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 3 del decreto legislativo 219 sempre perché prevedeva l'acquisizione del parere e non dell'intesa. Allora, era posto «il tema dell'illegittimità della norma di delega», ma la questione «veniva dichiarata inammissibile per tardività essendo superato il termine perentorio di sessanta giorni». Ecco allora che «questo collegio ritiene di dover riproporre la medesima questione, dichiarata inammissibile, in quanto non manifestamente infondata». Tanto più che il Tar ritiene «che le censure di incostituzionalità possano rivolgersi sia alle disposizione di delega che, per illegittimità derivata, alla legislazione delelgata», trattandosi il riassetto generale delle Camere di commercio di materia ripartita tra le prerogative regionali e statali. La norma di delega avrebbe dovuto prevedere, come presupposto per l'esercizio, l'intesa nella Conferenza Stato-Regioni. Da qui la sospensione del giudizio in attesa della Corte costituzionale.
Il fatto
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Latina - Atti alla Corte costituzionale per valutare l’illegittimità della delega alla base del progetto di riduzione e unificazione