Un anello con diamante solitario viene valutato tra 1000 e 1200 euro, un orologio, se firmato, arriva a 4000 mila euro. La ripresa del prestito su pegno è l'ultima e meno pubblicizzata conseguenza della crisi da coronavirus. In pratica si lascia in pegno un oggetto di valore e si ottiene un prestito con interessi legali prestabiliti. Difficilmente il prestito supera un terzo del valore degli oggetti cosiddetti «impegnati».

Se l'effetto crisi è arrivato fino a questo punto vuol dire che qualcosa non sta funzionando nelle misure di sostegno al reddito di chi è rimasto senza lavoro, con l'attività o la professione bloccate. Cosa si lascia? Soprattutto gioielli o altri oggetti di valore. Per chi chiede di impegnare più di un oggetto oppure elementi di particolare pregio esiste un servizio di stima. Tutto su appuntamento comunque, come vuole il regime di contenimento dei contagi da coronavirus. Il servizio di prestito su pegno è uno di quelli tradizionalmente offerti da alcune banche locali e nazionali che, per legge, sono soggette alla tracciabililità del contratto con tassi e valutazioni che debbono seguire una prassi lineare.

Ma, a latere, c'è una zona grigia all'interno della quale si muovono agenzie di prestiti con pegno che non hanno l'obbligo di rendere trasparente valutazione degli oggetti e tassi d'interesse, questi ultimi debbono comunque rientrare tra quelli non usurari pena l'integrazione del reato. Infine, ma non per diffusione, ci sono i privati che erogano denaro liquido in cambio di oggetti di valore, tra cui sempre gioielli e complementi di arredo come quadri o vasi. In questo ambiente nulla è dato per scontato e l'usura è davvero dietro l'angolo, diciamo in agguato. Il ricorso al prestito su pegno nella sua forma legale è purtroppo in aumento e non solo per via dell'emergenza.