Oltre a una testimonianza schiacciante, c'è anche un altro elemento che inchioda il giovane Ferdinando "Pescio" Di Silvio nella vicenda dei colpi di pistola esplosi in strada, in direzione di un'auto piombata in fondo a via Moncenisio, la sera di martedì 11 febbraio. Il diciottenne infatti è risultato positivo all'esame Stub, l'accertamento tecnico irripetibile che consente di rilevare l'eventuale presenza di polvere da sparo sulle mani e sugli indumento di una persona sospettata di avere fatto fuoco con un'arma.
Il quadro probatorio raccolto dagli investigatori della Squadra Mobile è tanto solido che ha spinto il sostituto procuratore Giuseppe Miliano, titolare dell'inchiesta, a chiedere il giudizio immediato per "Pescio" Di Silvio, tuttora detenuto da quella notte, atteso in aula il prossimo 22 giugno per la prima udienza del processo, assistito dai legali di fiducia, gli avvocati Luca Amedeo Melegari e Pasquale Cardillo Cupo.

L'inchiesta a carico del diciottenne quindi è chiusa, anche se le indagini non hanno ancora permesso di risalire al movente di quell'episodio. La ricostruzione ufficiale è ferma a quanto scoperto nelle ore successive alla sequenza di spari segnalata dai residenti del quartiere Gionchetto, tra il tardo pomeriggio e la sera. Gli investigatori del vice questore Giuseppe Pontecorvo avevano scoperto che a scatenare quella reazione era stato l'arrivo di un'automobile, rimasta sconosciuta, in fondo a via Moncenisio, dove abitano alcune famiglie di spicco del clan Di Silvio, tra cui quella di Pescio, figlio di Costantino detto Patatone tuttora detenuto per l'omicidio di Fabio Buonamano.
Perché i Di Silvio ce l'avessero tanto con la persona o gli sconosciuti a bordo di quella macchina, per ora, è un mistero.