«Meglio morire di Covid che di fame». La riflessione di un avvocato ieri mattina in Tribunale è piena di significati e racchiude tutto: uno stato d'animo, un disagio acuto avvertito dal mondo dell'avvocatura e la consapevolezza che la giustizia non è ripartita come gli altri comparti.
Una manciata di giorni fa oltre cento avvocati avevano protestato con il flash mob chiedendo la riapertura del Tribunale e sostenendo le difficoltà quotidiane con cui convivono perchè da marzo la maggior parte degli avvocati non lavora. «Siamo alla fase 3 ma la giustizia è rimasta alla fase 1 e ha saltato una fase», ripetono le toghe, a partire dal commissario dell'Ordine degli avvocati Giacomo Mignano (nella foto) che ha inviato una nota al presidente del Tribunale Caterina Chiaravalloti chiedendo un tavolo tecnico per trovare una soluzione e puntare ad una riapertura dell'ufficio giudiziario di piazza Bruno Buozzi.
«I recenti provvedimenti normativi assunti dal Governo e dalle Regioni nel superare l'emergenza sanitaria a seguito della favorevole situazione epidemiologica venutasi a creare nell'ultimo periodo, hanno riavviato la macchina produttiva del Paese e dei servizi complementari. Al momento - ricorda il commissario dell'Ordine degli Avvocati - tutti i comparti economici di ogni tipo e di genere sono pienamente operativi al fine di scongiurare un possibile crollo del Pil ad eccezione di quello della Giustizia. In questo contesto è evidente che anche quest'ultimo, per la rilevanza che riveste nel tessuto sociale e per il supporto che arreca al settore produttivo debba essere riattivato.
A queste considerazioni di carattere generale, va aggiunto che intorno al sistema della giustizia locale - mette in evidenza Mignano - operano addetti diretti ed indiretti, oltre 5mila persone, le quali traggono la loro capacità reddituale dalla operatività, ragione per cui da marzo sono inoperative ed inoccupate». Mignano ribadisce che se si andrà avanti così le conseguenze sono terrificanti