Artena è il paese degli accusati dell'omicidio. Qui, tra le case arroccate lungo un costone calcareo dei monti Lepini, a pochi chilometri da Roma, l'aria che si respira è diversa da Colleferro. Uno striscione affisso nella parte bassa del Comune recita "Artena sta con Willy".
Ma ad Artena sembra che la gente abbia paura di parlare. Qualcuno si guarda intorno quando ci avviciniamo, quasi come se avesse paura di essere visto. «Non so niente». «Non conosco nessuno», queste le frasi più ripetute. In molti negano anche di essere del posto. Un signore che fino a pochi istanti prima parlava su una panchina al telefono in italiano fluente, finge addirittura di essere straniero. Una situazione che sembra surreale.

Ci spostiamo nella parte alta della città. Magari qui qualcuno avrà voglia di parlare. Una ragazza che ha più o meno la stessa età dei quattro indagati accetta. Sa chi sono. Dice che ai tempi della scuola erano già conosciuti per essere dei bulli. Conferma che le risse le abbiano sempre fatte, che in paese tutti li conoscano per essere violenti e strafottenti. L'episodio dell'aggressione a un vigile è solo uno dei tanti di una lunga serie. Hanno picchiato anche dei suoi amici, così, senza un motivo. Poi racconta che in tanti si sono sempre chiesti come facessero a mantenere un tenore di vita come quello che avevano. Tatuaggi, abiti costosi, orologi di lusso, auto, vacanze in hotel da mille e una notte - questo quanto traspare dai loro profili social -, ma «la gente qui si fa i fatti suoi», dice. E questo lo avevamo capito. Un'amica che è con lei racconta che qualche anno fa una sua conoscente frequentava uno dei quattro: «Poi ha scoperto che faceva uso di droghe e lo ha mollato».

Il ritratto di quella che è stata definita "La banda di Artena" che le due ragazze forniscono sembra confermare quello delineato dagli inquirenti in questi giorni. E, forse, lo confermano anche i silenzi di tutti quelli che hanno paura di parlare.