Lo smart working, diventato necessario durante il lockdown e proseguito dopo la riapertura, se da una parte ha risolto i problemi di aziende e uffici pubblici, garantendo la continuità lavorativa durante l'emergenza, dall'altra ha prodotto importanti perdite nel mondo delle attività che vivono della cosiddetta economia da ufficio. Bar, caffetterie e tavole calde hanno risentito della nuova realtà lavorativa che ha investito gli impiegati e i "colletti bianchi": si tratta di un indotto che ha subìto una consistente riduzione degli incassi per via dell'emergenza sanitaria che ha costretto migliaia di persone a lavorare da remoto, a casa, senza più spendere soldi in colazioni, caffè e pranzi veloci prima di rientrare in ufficio. «Se il Governo applicherà di nuovo il lockdown avrò meno perdite - confessa Bruno Perelli, titolare del bar Mimì, in via Eugenio di Savoia, in piena Ztl, attività storica del capoluogo che da sempre lavora col diurno - Qui si vive, o meglio si viveva di colazioni e pranzi. Abbiamo perso almeno il 50 percento degli incassi giornalieri: ditemi voi se si può andare avanti così?».

Discorso diverso, invece, per un'altra attività storica del capoluogo, sul lato opposto di piazza della Libertà, il bar Di Russo: «A noi lo smart working ci ha penalizzato relativamente perché abbiamo sempre lavorato più la sera con i giovani ed è il nuovo Dpcm che ci ha tagliato le gambe - dice Erasmo, uno dei titolari - Ma conosco le situazioni di altri locali che dalla chiusura degli uffici sono stati molto penalizzati». Oggi il barista, il cameriere, l'addetto alle pulizie, rischiano di perdere il lavoro a causa dell'assenza in ufficio di un programmatore, di un ingegnere, di un impiegato, che continuano a lavorare comodamente da casa. Molte aziende hanno già annunciato che continueranno con il lavoro da remoto. Secondo Cesare Avenia, presidente di Confindustria digitale «A regime il 60 percento dei posti di lavoro sarà gestito solo da remoto e a guadagnarci saranno la produttività del settore e il benessere dei lavoratori».
Ma sicuramente non ci guadagneranno bar, caffetterie e tavole calde. Lo sa bene Massimo Ceccarini, titolare del Caffè Nanà, in via Battisti, a ridosso della zona dei pub, locale che ha sempre lavorato sia di giorno con gli uffici sia di sera con i giovani. «Tralasciando la questione dell'ultimo decreto governativo - racconta Massimo - lo smart working ha ridotto almeno del 35 percento il lavoro durante il diurno improntato sulle colazioni e la tavola calda. Si lavora meno, qui vicino ci sono tanti uffici e non si vedono più tutte le persone che venivano prima della pandemia».


Su via Battisti c'è anche chi, come Forma, dopo il lockdown ha deciso di abbandonare l'attività diurna delle colazioni e della tavola calda, dedicandosi soltanto al serale; serale adesso off limits fino al 24 novembre.
Spostandoci di qualche metro, su Corso Matteotti, troviamo le serrande abbassate al Mocafè, con affisso un cartello che non lascia spazio all'interpretazione: «Viste le nuove disposizioni contenute nell'ultimo Dpcm, in vigore dal 26 ottobre 2020, si comunica che questa attività non ritiene le restrizioni imposte compatibili con il servizio commerciale fin qui svolto. Pertanto il bar resterà chiuso». Oltre alla chiusura alle 18 ha influito anche lo smart working per un bar aperto dal mattino. La situazione è critica ovunque, in tutta la città. Il leitmotiv è sempre lo stesso. Lo dice anche Giorgia, barista del Caffè Friuli all'angolo tra Corso della Repubblica e via XXI aprile. «Il lavoro tra mattina e pranzo è calato tanto - ci racconta - Lo smart working ci ha dato una brutta botta, i clienti degli uffici non vengono più a trovarci».

E considerando l'attuale andamento della curva epidemiologica, il futuro si prevede più buio del presente.