Potrebbe stare dentro i messaggi del profilo Facebook di Agostino Riccardo la prova più temuta sulla raccolta di voti fatta dai Di Silvio, e comunque dall'attuale pentito, per le elezioni amministrative di Latina. Lo si evince da uno dei verbali delle dichiarazioni di Riccardo sottoposti a discovery dopo l'applicazione della misura della sorveglianza speciale per l'ex consigliera regionale del Pdl, Gina Cetrone. Le affermazioni vengono raccolte e precisate in un verbale della squadra mobile del 20 giugno del 2019 e inviato ai sostituti della Dda, Barbara Zuin, Claudio De Lazzaro, Luigia Spinelli e Corrado Fasanelli, quest'ultimo audito in Commissione parlamentare antimafia sul «caso Latina» a gennaio 2020. Nell'atto si ribadisce che «Agostino Riccardo in seno alle competizioni elettorali rappresentava il punto di riferimento tra le consorterie criminali da un lato ed esponenti politici dall'altro». La Dda riprende dunque quanto affermato dal collaboratore di giustizia a giugno del 2018 e che è stato alla base dell'operazione «Scheggia» di cui è in corso il processo di primo grado davanti al Tribunale di Latina.

Ci sono però in questo documento un paio di novità: la prima riguarda l'acquisizione delle chiavi di accesso del profilo Facebook di Riccardo, codici forniti da lui stesso per consentire di raccogliere i messaggi scambiati sia con alcuni politici che con due capi della curva del Latina calcio che si erano occupati delle campagne elettorali antecedenti quella del 2016. Quindi dati «oggettivi», cristallizzati in quel profilo, e non solo più dichiarazioni del collaborante. Agostino Riccardo oltre al nome della Cetrone citò altri tre politici che nel 2013 per le elezioni di Latina si rivolsero ai gruppi criminali locali, epoca in cui l'attacchinaggio veniva controllato dai Travali e oltre all'affissione dei manifesti ci sarebbe stata anche la compravendita dei voti: «... ci davano una cartina con le circoscrizioni per far votare la gente ed avere un riscontro sui voti venduti. Ogni voto veniva pagato dai 100 ai 150 euro». Fin qui si tratta di affermazioni più o meno conosciute, ma finora non è stato evidentemente possibile trovare il riscontro alla dazione di denaro in cambio dei voti di quella stagione elettorale.