Era nato tutto da un annuncio di lavoro su una rivista online a cui lei ha risposto. Cercavano una ragazza da inserire come collaboratrice domestica in una villa a Roma, la retribuzione al mese era di 2mila euro. Era un'occasione da non perdere. Lei ha risposto e da Termini è salita su un treno per Campoleone insieme all'autore dell'annuncio, nonchè mediatore della trattativa. Da lì è iniziato il black out- Un uomo di 60 anni, è stato condannato a 15 anni dal Collegio penale del Tribunale di Latina, composto dai giudici Francesco Valentini, Maria Assunta Fosso ed Enrica Villani. Il pm Antonio Sgarrella aveva chiesto 10 anni.

L'imputato è accusato di aver adescato la donna, di averle somministrato un sonnifero diluito in un succo di frutta offerto in un bar a Campoleone e di averne abusato. I reati ipotizzati sono violenza sessuale e poi rapina perchè era sparita la borsa della ragazza. Ieri è stata messa la parola fine ad un'inchiesta nata subito dopo che la vittima di questa vicenda, una volta rientrata a Roma Termini, era stata sorpresa a vagare per la stazione e fermata dalla polizia. Era stordita, confusa. L'episodio che ha portato alla condanna dell'uomo è avvenuto il 15 luglio del 2015, quando la donna incontra l'imputato a Termini e i due salgono su un treno per scendere a Campoleone, dove avrebbero dovuto incontrare i datori di lavoro della ragazza, persone facoltose e benestanti. E infatti tra le richieste per la proposta lavorativa, l'uomo suggerisce alla donna di indossare dei gioielli e di vestirsi bene per suscitare una buona impressione.

Una volta arrivati a Campoleone - secondo l'accusa - nel bicchiere della ragazza viene versato un medicinale, un sonnifero, utilizzato di solito dall'uomo e ritrovato successivamente nel corso di una perquisizione domiciliare in casa dell'imputato. Secondo la ricostruzione della Procura di Latina, quella sostanza ha stordito la ragazza al punto da farle perdere per un paio d'ore la memoria. La giovane si ritrova nuovamente a Termini: la polizia vede la donna che vaga in stato confusionale e capisce che deve essere accaduto qualcosa di grave. Dalle analisi a cui viene sottoposta la vittima, emerge che nelle urine ci sono tracce del medicinale che l'ha stordita e che su una camicia ci sono tracce di liquido seminale riconducibili secondo gli inquirenti all'imputato. I consulenti dell'accusa sono convinti che le tracce appartengano all'uomo che era stato indagato a piede libero. La difesa ha spiegato che, in assenza di una sequenza completa del codice genetico isolato sulle tracce biologiche, non ci può essere la certezza matematica che quelle macchie appartengano al proprio assistito. La difesa dopo che saranno depositate le motivazioni presenterà ricorso in Appello