Con l'inchiesta "Movida Latina" riemerge il pizzo che i Di Silvio hanno sempre cercato di imporre in città, tra i comuni cittadini come ai danni delle attività commerciali. Specie laddove può facilmente scorrere la droga. È il caso ad esempio di un locale notturno di piazza Moro che nel frattempo ha chiuso: è Costantino detto zio Costanzo a presentarsi, spalleggiato da Luca Pes, prima per offrire la protezione della sua famiglia e poi per imporre la fornitura di droga. E quando il gestore si ribella, iniziano le minacce. Il 57enne si diceva pronto a incendiare il locale, cosa che non è successa, ma i Di Silvio avevano iniziato a combattere una guerra silenziosa, con una serie di pestaggi consumati nei pressi di quel pub latino americano, probabilmente per sbaragliare in modo diverso la concorrenza.
A introdurre i Di Silvio sarebbe stato un cliente non meglio identificato che aveva iniziato a minacciare i gestori del pub di piazza Moro quando questi avevano deciso di applicare un sistema di registrazione dei clienti e dopo essere stato respinto all'ingresso. Era stato lui a portare zio Constanzo. Quando quest'ultimo aveva iniziato a far capire le proprie intenzioni, il gestore aveva cercato di liquidarlo prima di subire la ritorsione, con la scusa dell'ora tarda. Ma Costantino Di Silvio non aveva perso l'occasione per tornare più volte, spesso accompagnato proprio da Pes. In un crescendo di minacce. In un primo momento le pretese dello zingaro erano state vaghe, come la consegna di un foglietto con un numero di telefono al momento di mettere a disposizione la propria protezione, oppure la proposta di elevare i guadagni con "un prodotto che va tanto", frase detta mostrando un accendino decorato con l'immagine di una foglia di marijuana per alludere agli affari con la droga. Alla resistenza del gestore però Costantino aveva replicato ben presto alzando i toni: mettendogli le mani addosso gli aveva chiesto dei soldi e il titolare del pub gli aveva dato una trentina di euro, tutto quello che aveva con sé.
Tornando al locale, zio Costanzo aveva minacciato anche un dipendente, scambiato per uno dei gestori, con la classica frase: «Se vuoi continuare a lavorare in questa zona devi pagare una somma di denaro». E quando, più avanti, il gestore aveva dato ordine di non fare più entrare il Di Silvio, le minacce erano state ancora più pressanti: «Questa piazza è la mia e nessuno mi può mandare via». Al giovane titolare del pub, di origine sudamericana, aveva persino urlato: «Sono nero come a te, però io non sono infame, adesso vado via, porto una tanica di benzina e vi do fuoco al locale e a tutti voi». Le minacce di fuoco poi non si sono concretizzate perché il locale non è rimasto aperto molto tempo. Ma quanto raccontato dalle vittime, secondo gli inquirenti, è sufficiente per tirare in ballo tutta la famiglia. «Il riferimento al possibile utilizzo del locale come piazza di spaccio - si legge nell'ordinanza - è evidentemente evocativo di una attività gestita non singolarmente dal Di Silvio ma dall'intera famiglia».