Tra i giovani Di Silvio spicca senza dubbio Antonio detto Patatino, che ha appena 28 anni ma ne ha trascorsi già una decina agli arresti e si è fatto conoscere in città per la sua personalità prepotente, a tratti feroce. È il figlio maggiore di Giuseppe detto Romolo, figura emblematica del clan, e sin da giovanissimo ha dimostrato di essere in grado di portare avanti la politica di espansione della famiglia, non tanto nella guerra dichiarata alle fazioni opposte, quanto per alimentare la forza di un cognome che continua a incutere timore, tra la gente, proprio per le gesta di personaggi come lui. Nelle zone di diretta influenza del clan, come nel quartiere dei pub dove le sue gesta avevano un peso tra i giovani, Patatino Di Silvio non perdeva l'occasione per consumare minacce e ritorsioni, senza alcuna cautela, puntando proprio sulla paura alimentata tra le vittime con quelle stesse azioni: è il metodo mafioso. Tant'è vero che nessuno aveva il coraggio di entrare in una caserma per la denuncia, le vittime hanno descritto i fatti alla Polizia solo quando sono stati contatti dagli investigatori della Squadra Mobile che già indagavano sui Di Silvio.

Emblematico quanto è successo a un giovane del capoluogo, figlio di un imprenditore, vittima di una ritorsione da parte proprio di Patatino agli inizi di febbraio, giusto un mese prima del lockdown. Lo zingaro, spalleggiato da Mario Guadagnino, indagato a piede libero per questi fatti, ha avvicinato il ragazzo nei pressi di un pub: l'ha ingaggiato proponendogli l'acquisto di droga, ma era solo una scusa per avere un contatto. Visto che poco dopo Patatino era tornato sotto chiedendo alla vittima dove fosse la sua auto, un Range Rover Evoque perché voleva fare un giro. Il giovane aveva cercato di resistere, ma Antonio Di Silvio, spalleggiato da Guadagnino, lo avrebbe costretto a raggiungere il vicino parcheggio dov'era parcheggiato il suv.

Gli eventi che susseguono, sono una serie di dimostrazioni di forza che Patatino sfodera per accrescere le paure della vittima e preparare il campo per la richiesta di denaro. Non deve ingannare il fatto che i Di Silvio, spesso, si accontentino di poche decine di euro, soprattutto alle prime richieste di denaro: il loro è un metodo asfissiante, fatto di richieste continue e sempre crescenti. L'approccio iniziale serve per allentare la resistenza della vittima e abituarla a pagare.

Quella sera, Antonio detto Patatino era salito al volante del suv del giovane e aveva fatto una prima tappa in un bar del centro. Durante quella sosta, mentre erano ancora in auto, lo zingaro aveva mostrato una pistola alla vittima, che racconta così quel frangente: «...mi guardava negli occhi e mi faceva vedere un revolver con il calcio in legno, allo scopo di intimòrirmi... in tale frangente Patatino mi diceva "quanto c'hai in tasca?" ...e temendo per la mia incolumità gli consegnavo una banconota da 50 euro». Il tempo di un caffè e i due, insieme al fiancheggiatore e due amici della vittima, riprendevano la marcia, o meglio la folle corsa: alla guida del suv, Antonio Di Silvio si era lanciato a forte velocità tra le strade del capoluogo, spaventando ancora la vittima con manovre spericolate.

Per alimentare quel clima di paura, una volta fuori città, Patatino aveva lampeggiato a una Mini che li precedeva fino a farla fermare: a quel punto era sceso e aveva affrontato a muso duro il giovane automobilista, spalleggiato da Guadagnino che lo aveva colpito prima di lasciarlo andare via. Circostanza successivamente confermata alla polizia anche da quella vittima incosapevole di quel folle piano: «Con fare minaccioso mi ha detto "Ma sai chi sono io!!!". Pur non conoscendolo, ho capito subito che si trattava di uno zingaro appartenente alla nota famiglia criminale locale».

Dopo quella serata da incubo, la giovane vittima della ritorsione aveva preferito chiudersi in casa per evitare di incrociare nuovamente Patatino. Non denunciò, ma dopo qualche giorno aveva raccontato tutto al padre, che si era confidato con un amico poliziotto: era stato poi quest'ultimo, informando i suoi superiori dell'accaduto, a permettere agli investigatori della Squadra Mobile di aggiungere un altro tassello al quadro indiziario dell'inchiesta Movida Latina.

«Non ho presentato alcuna denuncia perché ho temuto e temo per la mia incolumità - ha dichiarato la vittima al personale della Squadra Mobile al momento di ricostruire i fatti di quella sera, poi confermati anche dai suoi amici che erano con lui - Ho talmente paura che da quel giorno ho cambiato il mio stile di vita, evitando di recarmi nella zona dei pub in centro a Latina e di utilizzare la mia macchina».