Hanno tutti risposto negando le accuse: dalle minacce alle estorsioni che hanno terrorizzato le vittime. E' questo quello che hanno detto ieri mattina gli indagati dell'operazione Movida Latina, condotta nei giorni scorsi dalla Squadra Mobile contro un ramo del clan Di Silvio, riconducibile a Giuseppe Romolo, in carcere per l'omicidio Buonamano. Gli inquirenti contestano in questa inchiesta l'aggravante del metodo mafioso. Hanno respinto gli addebiti professandosi innocenti Costantino Di Silvio, detto zio Costanzo e poi Ferdinando Di Silvio detto Prosciutto e Ferdinando Pescio Di Silvio e infine Antonio Di Silvio detto Patatino, sono difesi dall'avvocato Luca Amedeo Melegari. L'interrogatorio si è svolto a Roma in videoconferenza con le rispettive carceri dove si trovano gli indagati ed è iniziato alle 9,30 davanti al giudice per le indagini preliminari Rosalba Liso che ha firmato il provvedimento restrittivo. Non è escluso che la difesa possa anche impugnare l'ordinanza di custodia cautelare davanti ai giudici del Tribunale del Riesame di Roma ma al momento è una ipotesi.
L'inchiesta Movida ha segnato l'inizio della collaborazione di due nuovi pentiti: Maurizio Zuppardo, 44 anni di Latina ed Emilio Pietrobono, 33 anni di Priverno che sono entrati a fare parte del programma di protezione e che hanno fornito elementi per ricostruire una serie di scenari investigativi a partire da una delle zone più conosciute di Latina: il quartiere dei pub. I reati a vario titolo sono: rapina, estorsione aggravata dal metodo mafioso, violenza privata. Come ha sottolineato il gip nel provvedimento restrittivo, gli arrestati hanno imposto con la forza dell'intimidazione l'affermazione del potere in una zona ritenuta strategica sul fronte dello spaccio di droga tra i giovanissimi. Il gruppo della famiglia dei Di Silvio, tentava di assumere il controllo del territorio con modalità che gli investigatori hanno tracciato. Sono diversi gli episodi contestati nel provvedimento restrittivo eseguito lunedì. Dalle carte dell'inchiesta emerge con prepotenza come gli indagati puntavano ad assumere pienamente il controllo dello spaccio nel quartiere della movida, da cui prende spunto anche l'operazione. E' un particolare emerso anche nel caso del figlio di un imprenditore che era stato vessato e aveva paura di denuncia. C'è anche una estorsione ad al titolare di un locale di piazza Moro che è molto indicativa sulle modalità con cui il clan agiva. . «Se vuoi continuare a lavorare in questa zona devi pagare una somma di denaro», era stata la minaccia di Costantino detto Costanzo ad una delle vittime.
C'è un passaggio dell'ordinanza che rende l'idea e che riguarda come scrive il giudice: «La condizione di assoggettamento ed omertà derivanti dalla riserva di violenza di cui dispone la famiglia in ragione dello spessore criminale riconosciuto a Latina».