Prima udienza ieri in Corte d'Appello a Roma per la morte di Karin Dalla Senta, la ragazza di Latina, deceduta per una diagnosi sbagliata. Ieri in aula il procuratore generale ha chiesto la conferma della condanna per gli imputati che erano stati condannati dal giudice Laura Morselli e nel corso del suo intervento, la pubblica accusa ha sottolineato quanto siano corpose ed esaustive le motivazioni del giudice di primo grado in merito alla ricostruzione dei fatti e alle responsabilità nei confronti degli imputati.

Hanno discusso le parti civili rappresentate dagli avvocati Emanuele Ceccano e Oronzo Memmola, i responsabili civili Asl e Ares 118 mentre i difensori degli imputati hanno chiesto ai giudici una perizia per verificare la causa della morte di Karin: su questo i magistrati si sono riservati e nel corso della prossima udienza scioglieranno la riserva. Sul processo c'è l'ombra della prescrizione.

Le pene in primo grado oscillavano tra un anno e quattro mesi nei confronti del medico di base che aveva in cura Karin e sei e nove mesi per gli infermieri ma anche i medici in servizio al Santa Maria Goretti. Secondo il quadro accusatorio, la ragazza è morta perché il suo quadro clinico è stato sottovalutato e i sintomi non sono stati presi nella giusta considerazione.

«Più tempestive fossero state le terapie a lei somministrate, anche in attesa di un'esatta diagnosi e tanto più precoce fosse stata l'esatta diagnosi, tanto maggiore sarebbe stata la possibilità di salvezza della paziente le cui probabilità di cura con esiti favorevoli erano elevatissime, nel peggiore dei casi pari al 92%». E' questo uno dei passaggi chiave delle motivazioni della sentenza. Secondo il collegio difensivo, composto dagli avvocati Pierro, Angeloni, D'Amico, Mascetti e Ripoli i propri assistiti hanno fatto tutto il possibile per salvare la ragazza e la condotta non è stata negligente.

La condanna più alta aveva riguardato proprio il medico di base. «La condotta nell'accertamento era stata caratterizzata da imperizia e negligenza nell'omissione delle indagini per individuare la terapia confacente al caso di specie legata all'evento morte che ha colpito la ragazza».