Come nel più classico dei casi, conduceva una doppia vita Janet Zouabi, la tunisina di 35 anni arrestata dalla Digos per avere sostenuto la causa jihadista dello Stato Islamico. Se tra gli italiani aveva portato avanti l'attività di proselitismo della religione islamica, guardandosi bene dal rivelare le reali intenzioni che la animavano, com'è ormai noto in realtà sfruttava i social network per assoldare nuovi terroristi e addestrarli a realizzare ordigni bellici, contribuendo così alla guerra santa. Ed è proprio sulla sua attività "virtuale" che si concentrano ora le indagini, per capire chi e con quale enfasi i suoi interlocutori seguivano la sua propaganda.

La donna che viveva in un piccolo appartamento del Palazzo di Vetro non si nascondeva come fanno solitamente i cosiddetti foreign fighters, o meglio conduceva una vita modesta, ma non disdegnava i contatti con la comunità nostrana, come testimoniano i tentativi di conversione esercitati con alcuni vicini italiani, e cattolici, che si sono trovati a parlare con lei nel Palazzo di Vetro. «Mi parlava del Corano - ci ha raccontato un'inquilina - Che è molto simile alla Bibbia. E mi ha persino detto che nei testi sacri musulmani non si parla di uccidere uomini». Insomma, Janet era molto abile nel linguaggio ed era piuttosto accorta a non rivelare le proprie pulsioni per la jihad in un primo approccio con i fedeli di altre religioni.

Quello che i suoi dispositivi elettronici sequestrati dalla Polizia, vale a dire smartphone e computer, rivelano il contrario. Mentre usava un certo tatto con gli estranei, nella vita social si lsciava andare con chi condivide il suo stesso credo. Una prima analisi del suo telefono, ha infatti permesso agli investigatori della Digos di verificare la presenza di numerose chat, sia con singole persone che all'interno di gruppi, che utilizzava per diffondere filmati della propaganda jihadista portata avanti dall'auto proclamato Stato Islamico.

Chat che gli inquirenti definiscono di "particolare interesse investigativo parimenti ad altrettanti contenuti scaricati sul proprio device" si legge nel dispositivo di fermo poi convalidato dal giudice del Tribunale di Roma. Basti pensare che uno dei gruppi Whatsapp nei quali la donna partecipava con i propri contenuti multimediali, i detective dell'antiterrorismo hanno contato 261 partecipanti. «In essi l'indagata postava immagini e documenti provenienti dalla propaganda IS e molte immagini con il logo di IS. Vi erano anche immagini di ordigni rudimentali ed estratti di manuali di condotte terroristiche» annota proprio il sostituto procuratore Sergio Colaiocco che ha autorizzato il fermo della donna.

Va da sé che ora il lavoro dell'intelligence italiana sia orientato verso i destinatari del proselitismo, per capire se tra loro possano esserci persone che si sono organizzate per portare a compimento azioni dimostrative.