«Don Fefè», il fantomatico camorrista, con provvidenziale accento campano, che doveva spaventare il clan Di Silvio era una spia, sì uno 007 che bazzica Latina dicendo in giro si essere, appunto dei Servizi segreti. Di «Don Fefè» esistevano intercettazioni telefoniche ammesse al processo Alba Pontina. Ma nessuno ne conosceva la reale identità fino ad un paio di giorni fa, quando quello che si spaccia per essere un suo «amico» gli ha tolto improvvisamente ogni copertura e lo ha fatto esattamente nel dibattimento del processo Alba Pontina.

Adesso sappiamo che il misterioso «Don Fefè» non era un ladro bensì, forse, una guardia e che si chiama Massimo Severoni, che dice a tutti si essere un uomo dei Servizi segreti interni e che lavora, in qualche modo, alla direzione Investigativa Antimafia e che ciò gli rende possibile accedere alle targhe delle auto di chicchessia per risalire all'identità del proprietario. A presentare al pubblico il signor Severoni è stato Antonio Fusco, detto «zì Marcello» nell'ambiente degli zingari, un imprenditore chiamato al processo Alba Pontina come teste della difesa nonché imputato in processo connesso per il reato di favoreggiamento. Siccome a Fusco il Presidente del Tribunale, durante l'interrogatorio, ha chiesto come mai fosse intervenuto per bloccare un'estorsione e poi pure per boicottare l'arresto degli estorsori (ossia i Di Silvio), la risposta è stata che si voleva aiutare la vittima del clan e per farlo ci si è inventati un «competitor», un camorrista «interpretato» da Massimo Severoni nella veste di «don Fefè».

Sul quale le notizie ufficiali dicono altro: nella vita risulta essere operatore finanziario, recentemente incappato in una indagine della Finanza che gli contesta l'autoriciclaggio. A Latina qualcuno lo ricorda circolare nel periodo della campagna elettorale per le amministrative del 2016, che, ora lo si può dire, forse è stata la più sciagurata di sempre. Il processo in cui l'amico di Severoni, Antonio Fusco appunto, è coimputato per favoreggiamento è tutto incentrato su un contestato voto di scambio di quella medesima campagna elettorale. Il ritratto di Massimo Severoni in udienza ha sfiorato il cabaret e forse ha sinanche danneggiato gli imputati più che aiutarli. Ma ciò che non fa sorridere è la frequenza con cui schiere di spie dei servizi segreti italiani scorrazzano per diverse indagini penali sulla città di Latina, sul suo clan autoctono e su certe storiacce di estorsione dura. Visti da vicino questi spioni sono personaggi picareschi ma non per questo meno pericolosi. Perché proprio Latina? Perché proprio certi ambienti borderline? Questo ad Antonio Fusco non è stato chiesto.

Forse non avrebbe neppure risposto. E' interessante invece ciò che, sempre negli atti di Alba Pontina e in alcuni verbali dei pentiti del clan di Silvio, si dice di Fusco medesimo, ossia che viene considerato un uomo di Sergio Gangemi che, comunque, conosceva anche Armando Di Silvio. E' la seconda volta (nel solo 2020) che in indagini penali su reati gravissimi spuntano elementi dei Servizi. E questo rende il contesto surreale. E terribile.