Il primo ad accorgersi che l'avvocato Paolo Censi aveva qualche problema e che non era più gioviale come al solito fu un suo conoscente di vecchia data, una persona che abita nello stesso quartiere dove si trova lo studio legale. La mattina del 23 dicembre 2015, il giorno del suicidio, quando la polizia scientifica arriva sul posto sente un po' tutti e anche questo vecchio amico, che testualmente affermerà: «Era pensieroso e non conviviale come si mostrava solitamente». Pensieri accumulati dopo il viaggio a Lugano, avvenuto l'undici dicembre.

Al ritorno l'avvocato aveva manifestato alle persone più strette di essere preoccupato per un mandato professionale di cui non ha fornito alcun dettaglio. Si vedeva solo che «era molto preoccupato». Una sensazione su cui il suo stretto entourage e chi lo conosceva bene appare concorde secondo quanto lo stesso Tribunale di Latina riporta negli atti dell'archiviazione dell'indagine contro ignoti avviata la mattina del 23 dicembre di cinque anni fa.

Furono proprio quelle dichiarazioni a spingere la polizia ad effettuare verifiche circa la possibilità del coinvolgimento di terzi. In specie viene ricordato dal gip che «la polizia giudiziaria veniva delegata ai necessari accertamenti circa la provenienza dell'arma, nonché alla verifica dell'esistenza di dissidi tra il legale e terzi soggetti e della compatibilità degli elementi di carattere oggettivo acquisiti co l'ipotesi del suicidio; ciò al fine di approfondire il tema dell'eventuale coinvolgimento di terzi soggetti in un'attività di determinazione o istigazione a compiere l'insano gesto».

Prova che non è stata mai trovata e non è stata considerata tale nemmeno la dichiarazione del pentito Agostino Riccardo, che a ottobre 2018, ha rivelato che pochi giorni prima del suicidio dell'avvocato Censi ebbe incarico di bruciare le auto del professionista; ordine che gli arrivò da Pasquale Maietta per il tramite di Giovanni Fanciulli, questi ultimi entrambi imputati al processo «Arpalo».