La revoca del decreto di sequestro preventivo per equivalente della somma di un milione e mezzo di euro «congelata» sui conti correnti di alcuni dei professionisti indagati per la vicenda del fallimento Quadrifoglio e della vendita dell'Hotel di Terracina Il Guscio, ha prodotto il primo e prevedibile effetto collaterale, la richiesta di revoca delle misure interdittive di sospensione dalla professione per ciascuno dei sette indagati.

Le istanze sono state già recapitate al giudice per le indagini preliminari e girate ai pubblici ministeri De Lazzaro e Bontempo per il necessario parere preliminare. Il tribunale del Riesame composto dal presidente Gian Luca Soana e dai giudici Beatrice Bernabei e Francesca Coculo, ha accolto le tesi prospettate dai difensori degli indagati, per i quali ciascuno dei passaggi del complesso iter che aveva portato la curatela a scegliere la strada dell'alienazione delle quote del bene societario piuttosto che quella dell'attesa degli introiti che sarebbero derivati dalla vendita del bene all'asta attraverso la procedura di esecuzione immobiliare in corso, era stato avallato dal giudice delegato del fallimento. E non solo. Anche l'accoglimento dell'istanza di accesso al concordato preventivo presentata dall'amministratore unico della società Circe, detentrice delle quote dell'hotel Il Guscio, era stata valutata e accolta da un collegio di giudici.

Come dubitare della correttezza dell'operato del curatore del fallimento Quadrifoglio, o dell'amministratore della Circe? Se la ricostruzione della vicenda fatta dai magistrati inquirenti parla di un disegno ben orchestrato da parte del gruppo di professionisti indagati per acquistare ad un prezzo irrisorio (237.000 euro) le quote della società proprietaria di un albergo il cui valore era stato stimato da un Ctu del Tribunale in 4 milioni di euro, e rivenderlo subito dopo al prezzo di un milione e mezzo benché dopo aver dovuto sborsare oltre cinquecentomila euro di oneri diversi, non si riesce a comprendere come il tribunale non abbia mai avanzato riserve sulla procedura seguita per arrivare alla definitiva chiusura della vicenda. Tant'è che alcun rilievo è stato mai mosso dagli inquirenti nei confronti dei giudici coinvolti nella procedura, né il curatore fallimentare compare nella rosa delle persone indagate. Ci sono state delle sviste? I professionisti coinvolti nel caso godevano della massima fiducia da parte del Tribunale e dunque le loro iniziative non avrebbero mai destato sospetti?

Delle sviste pare ci siano state, a cominciare da quella che ha consentito all'amministratore della Circe di presentare, e al Tribunale di Latina di accogliere, l'istanza di ammissione al concordato fatta da una società che in quel momento aveva sede a Cuneo. Negli atti di indagine questa circostanza non figura, segno che probabilmente è passata inosservata anche agli inquirenti. Fatto sta che adesso quello che conta, come sostengono le difese, è che ci si trovi di fronte a una serie di passaggi formalmente ineccepibili, specie se affrontati uno per uno.
Certo, lo scenario che viene fuori dall'analisi comparata di tutti quei passaggi è quello di una strategia sopraffina, quasi perfetta, fatta di date che si rincorrono e sovrappongono mettendo in luce un tribunale efficientissimo e velocissimo nel dare risposte, molto diverso dallo stereotipo della giustizia ingessata e piegata dai tempi biblici di gestione dei procedimenti.

Ma quello che conta, pare, è che sia salva la forma. Quale sarà il parere dei pubblici ministeri De Lazzaro e Bontempo sulle richieste di revoca delle misure interdittive di sospensione dalla professione adottate nei confronti di professionisti, commercialisti e avvocati? E quale sarà, all'esito di quei pareri, la decisione del Giudice per le indagini preliminari Giuseppe Cario? Ma soprattutto, l'orientamento del Riesame sarà sufficiente per indurre Procura e Gip ad innestare la retromarcia al procedimento in corso?