Quello dell'attentato del 9 luglio 2003 al Lido di Latina, in seguito al quale perse la vita Ferdinando Di Silvio, è un caso di omicidio ancora aperto.

La notizia è arrivata un po' alla volta, la prima in via indiretta con una disposizione della Direzione distrettuale Antimafia presso la Procura della Repubblica di Roma che indagava da un paio di anni su un gruppo di persone ritenute coinvolte a vario titolo in una serie di reati che vanno dal traffico di sostanze stupefacenti alla turbativa d'asta, dall'associazione per delinquere all'omicidio; la seconda, più recente, con una opposizione della Procura al mancato accoglimento di una richiesta di custodia cautelare nei confronti di due persone.
E' stato il pubblico ministero Barbara Zuin, nel gennaio 2020, a disporre la separazione in tre distinti fascicoli dell'indagine nata sulla scorta delle dichiarazioni dei pentiti Renato Pugliese e Agostino Riccardo, e quello contraddistinto con la lettera «C» è un fascicolo che contempla le ipotesi di associazione per delinquere e di omicidio nei confronti di cinque persone, quattro delle quali sono ritenute direttamente coinvolte nell'attentato con l'esplosivo piazzato sotto il sedile di un'auto in uso a Ferdinando Di Silvio.

Si tratta di Carlo Maricca, Fabrizio Marchetto, Marcello Caponi e Gianluca Giannangeli. Il quinto indagato, il più giovane del gruppo, non poteva essere nel commando entrato in azione nell'estate del 2003, perché all'epoca aveva soltanto 5 anni, ma l'accusa di concorso in omicidio gli arriva per un evento fissato alla data del 28 giugno 2018 e lo associa direttamente alla figura di Carlo Maricca, benché non sia dato sapere al momento per via di quale circostanza o fatto reale.

Quando lo stralcio trasmesso dalla Dda arriva a Latina, nel gennaio 2020, è la Squadra Mobile a riprendere in mano l'indagine che diciassette anni fa era stata del sostituto procuratore Raffaella Falcione; anche gli investigatori della Questura arrivano alle stesse conclusioni della Falcione, che aveva indagato quattro persone, ma che aveva poi deciso di non procedere oltre perché gli indizi raccolti non le erano sembrati sufficienti per sostenere l'accusa davanti a una Corte di Assise.

Oggi cosa può essere intervenuto di nuovo per rendere praticabile e sostenibile un processo nei confronti delle persone indagate, che peraltro sono le stesse di allora?
Le possibilità sono due: i pentiti Pugliese e Riccardo sono stati in grado di aggiungere qualche elemento decisivo a quelli a suo tempo raccolti dai carabinieri sotto la guida del pm Falcione, oppure la ragione del nuovo impulso offerto all'inchiesta è connesso all'entrata in scena di un quinto indagato, quello che nel 2003 era ancora soltanto un bambino.

E dal momento che il fatto che lo vede inserito nel gruppo dei presunti omicidi è stato accertato in data 28 giugno 2018, la domanda viene da sé: cosa è accaduto quel giorno?
Di qualsiasi cosa si tratti, la sua valenza probatoria è già stata messa in discussione, e a farlo è stato un giudice per le indagini preliminari, lo stesso che ha recentemente rigettato una richiesta di custodia cautelare in carcere nei confronti di almeno due persone, verosimilmente Carlo Maricca e Fabrizio Marchetto, perché entrambi hanno ricevuto negli ultimi giorni la notifica dell'avvenuta fissazione di una udienza davanti al Tribunale del Riesame di Roma per la trattazione di un appello cautelare proposto dalla Procura della Repubblica di Latina. L'udienza è fissata per il 23 febbraio, ma è probabile sia destinata a slittare, perché con la sopraggiunta emergenza Covid gli appelli cautelari vengono trattati da remoto, con memorie scritte depositate in Tribunale, ma le difese hanno comunque la possibilità di chiedere la trattazione orale, in presenza. Se lo faranno, la discussione dell'appello avverrà più in là, a data da destinarsi.