Se prima era solo una convinzione comune, ora gli indizi consentono di osservare nitidamente i contorni dell'omicidio di Massimiliano Moro, e configurare il tradimento dei suoi "allievi", vale a dire alcuni dei componenti del gruppo di giovani che aveva avviato al crimine in quegli anni, una squadra di ragazzi pronti a tutto per lui: in poche parole il braccio armato che gli aveva consentito di inseguire i fasti di un tempo, quelli che aveva vissuto nella scena criminale prima di rifugiarsi a lungo in Venezuela, inseguito dallo spettro delle inchieste, mai arrivate fino in fondo, sui crimini di cui si era macchiato fino alla metà degli anni Novanta.
Come rivelato dall'inchiesta sul tentato omicidio di Carmine Ciarelli, sebbene il processo che ha prodotto non ha portato a una condanna, i suoi familiari si erano convinti che a ferirlo gravemente a colpi di pistola, quella mattina del 25 gennaio 2010, era stato Gianfranco Fiori, molto legato a Moro che aveva conosciuto sin da giovane attraverso il nipote suo coetaneo. Il capo morale della famiglia di Pantanaccio sarebbe riuscito a descrivere il killer prima di finire sotto i ferri, di fatto indirizzando la sete di vendetta di figli e fratelli verso la figura di Massimo Moro, che non poteva immaginare di essere stato scoperto con tanta sicurezza e così i fretta. Fatto sta che quel pomeriggio si era persino recato in ospedale e aveva raccolto l'invito del capostipite Antonio Ciarelli ad aiutarli per vendicare il figlio. Molto probabilmente fingevano entrambi.

Insomma, se è possibile ritenere che Moro non si aspettava di essere considerato il mandante del tentato omicidio della mattina, non aveva ragione di sospettare della visita dei Ciarelli la sera stessa. Sembra essere l'unica spiegazione al fatto che avesse aperto la porta ai componenti del commando e abbia persino voltato loro le spalle all'interno del proprio appartamento, di fatto agevolando il loro piano.
Si è consumato così il tradimento dei suoi "allievi" Andrea Pradissitto e Simone Grenga, transitati anni prima nel suo gruppo attraverso Renato Pugliese, che a Moro era molto legato. Dopo tutto i primi due si erano presentati nella casa di largo Cesti con Ferdinando Ciarelli detto Macù e scortati da Ferdinando detto Furt (sarebbe rimasto all'ingresso del condominio), rispettivamente figlio e fratello di Carmine. Probabilmente lo avrebbero avvisato del loro arrivo anche con una chiamata da una cabina telefonica. Fatto sta che i suoi ragazzi conoscevano il segno convenzionale per superare la diffidenza di Moro: tre colpi di citofono e lui avrebbe anche fatto trovare aperto il portone dell'alloggio.

Ma il tradimento forse affonda le radici negli anni, probabilmente prima che Grenga e Pradissitto legassero i loro nomi a quelli della famiglia Ciarelli, sposando le figlie di Luigi e Ferdinando Furt, i fratelli di Carmine. Come rivela proprio Pugliese, da anni Moro meditava una rappresaglia contro la famiglia di Pantanaccio, sebbene lavorasse per Carmine, specie nel recupero dei crediti, vantando lui stesso un debito importante nei suoi confronti. Il collaboratore di giustizia ha dichiarato che già nel 2007 lo stesso Moro aveva cercato di organizzare un'azione di forza contro i Ciarelli e ne aveva parlato con i propri sodali dell'epoca, ossia Angelo Travali, Francesco Viola e Fabio Buonamano: voleva pianificare una serie di attentati incendiari, ma la sua idea non andò mai in porto.
Ciò non toglie che Massimiliano Moro avesse continuato a covare l'astio per i Ciarelli, come testimonia lo sfogo che aveva rivolto in più occasioni allo stesso Pugliese, prospettandogli l'intenzione di uccidere Carmine e i suoi fratelli. Un sentimento di rivalsa che conoscevano in troppi ed è riemerso al momento opportuno.