Secondo i magistrati della Dda di Roma è stato un omicidio premeditato, aggravato dal metodo mafioso, l'attentato esplosivo che costò la vita a Ferdinando Di Silvio detto il Bello la mattina del 9 luglio 2003, ideato e istigato da Carlo Maricca e Fabrizio Marchetto in concorso con ignoti. Una tesi indiziaria che i pubblici ministeri titolari dell'inchiesta, i sostituti procuratori Barbara Zuin, Luigia Spinelli e Claudio De Lazzaro, hanno sostenuto depositando il ricorso al Riesame in vista dell'udienza dell'appello da loro promosso per ribaltare la decisione del giudice per le indagini preliminari del Tribunale capitolino che aveva respinto le richieste di custodia cautelare proposte dalla Procura Antimafia: i pm si sono visti rigettare la richiesta, tardiva, di poter discutere oralmente il ricorso e l'udienza, vista l'emergenza covid, è stata celebrata ieri in camera di consiglio attraverso la trattazione scritta. Le sorti dei due indagati, nel primo banco di prova dell'inchiesta riaperta a distanza di quindici anni dal delitto, sono appese alla decisione prevista nei prossimi giorni.

L'approfondimento investigativo di uno dei casi di cronaca che hanno segnato in maniera profonda gli assetti della criminalità latinense negli anni a seguire, è scaturito tra le pieghe di una maxi indagine avviata dai poliziotti della Squadra Mobile, nell'estate del 2018, per focalizzare l'attenzione su una serie di personaggi di spessore della mala locale, e soprattutto considerati tali dai collaboratori di giustizia. Proprio in quel periodo, infatti, gli investigatori della Questura stavano iniziano a sviluppare i filoni scaturiti dalle rivelazioni di Renato Pugliese, alle quali nel frattempo si stavano aggiungendo quelle dell'amico e sodale Agostino Riccardo. Intercettando quindi una serie di personaggi considerati appartenenti allo stesso ambiente criminale, i detective avevano iniziato a monitorare Maricca e Marchetto, i nomi che da sempre circolano attorno alla morte di Ferdinando Di Silvio.

Formalmente l'inchiesta sull'esplosione dell'auto di Ferdinando Di Silvio, è stata riaperta il 16 luglio 2018 a distanza di sei anni dall'archiviazione del caso. Già più di una volta, a quella data, Carlo Maricca aveva parlato dei vecchi fatti, chiacchierando con alcuni amici, intercettato, all'interno della propria auto: tanto è bastato alla Direzione Distrettuale Antimafia romana per tornare a fare luce sull'indagine accantonata per l'inconsistenza degli indizi.

Quando gli indagati vengono monitorati dalla Squadra Mobile, era il periodo in cui era appena stata portata a termine l'operazione Alba Pontina che aveva sgominato l'organizzazione di stampo mafioso gestita da Armando "Lallà" Di Silvio, cugino di Ferdinando "il Bello", e iniziavano a trapelare le prime indiscrezioni sulle dichiarazioni del pentito Renato Pugliese, compresa la possibilità che avesse parlato degli omicidi irrisolti. Parlando con un uomo in macchina, Maricca aveva commentato gli arresti e smontato la fama dei Di Silvio, soprattutto rispetto alla propria caratura e a quella di chi lo aveva affiancato in passato. «Io c'ho una storia di crimin veri - si era sfogato - mo non c'entravo o c'entravo, ma era criminalità quella vera... erano crimini fatti in una certa maniera, due omicidi fatti in una certa maniera... mai scoperti... mai risolti, omicidi, colpi grossi delle... un gruppo di persone pronte a sparare veramente».

Nell'arco di due anni gli investigatori hanno ripreso in mano la vecchia indagine per analizzare gli indizi raccolti all'epoca, contestualizzare le conversazioni intercettate e approfondire una serie di aspetti salienti, ascoltando nuovamente alcune delle persone coinvolte nei fatti di quegli anni. A partire dall'episodio che viene considerato l'evento scatenante dell'omicidio di Ferdinando il Bello, vale a dire il ferimento a colpi di pistola di Luca Troiani, suo cognato: il 21 giugno a sparargli era stato Fabrizio Marchetto, a quanto pare per futili motivi, quando i due si erano incrociati in via Villafranca, dietro casa del secondo, in presenza di altre persone. Marchetto aveva invitato Troiani ad aspettarlo per risolvere la questione, giusto il tempo di accompagnare il figlio piccolo a casa, ma era tornato con la semiautomatica in pugno.

Come accertato all'epoca e confermato dalle intercettazioni più recenti, Ferdinando Di Silvio si era attivato per vendicare il cognato o comunque rivalersi su quello che considerava un gruppo criminale. Erano seguiti due incontri tra lui e Carlo Maricca, uno dei quali piuttosto duro, all'ombra dei palazzoni di Campo Boario, concluso però con una stretta di mano. Un equilibrio labile, secondo gli inquirenti interrotto da un evento inatteso, l'aggressione del figlio di Maricca da parte di Costantino Patatone Di Silvio, figlio di Ferdinando il Bello, proprio per i fatti di via Villafranca, in una discoteca della città.

La ricostruzione di quello che è successo la mattina del 9 luglio, è affidato alle indagini dell'epoca. Accompagnato dal nipote, Ferdinando il Bello aveva raggiunto il lungomare, zona Capoportiere, dove lavorava per la cooperativa che gestiva la sosta a pagamento. Il tempo di fermare l'auto (quella di Troiani che usava da giorni), prendere un caffè, invitare il nipote a darsi da fare e si era consumato il piano omicida: sotto al sedile gli avevano piazzato una carica esplosiva azionata a distanza e attivata mentre la vittima non era del tutto nell'abitacolo, tanto da essere sbalzata dalla spaventosa deflagrazione. Morirà una volta arrivato in ospedale. Niente tritolo hanno stabilito i rilievi tecnici: fu utilizzato il comune nitrato di ammonio, che esplode solo se sollecitato con una carica molto forte. L'ordigno sarebbe stato confezionato utilizzando la scocca di un'autoradio.

Era stato lo stesso Ferdinando, in punto di morte, a fare i nomi di Maricca e Marchetto, anche se nessuno li ha visti quella mattina al lido, e i suoi familiari hanno continuato a portare avanti quei sospetti fino a oggi. Ma in assenza di indizi che provassero in maniera concreta il loro coinvolgimento nell'esecuzione materiale dell'attentato, i sospetti sono rimasti tali.