Il contesto nel quale si è consumato l'omicidio di Massimiliano Moro, freddato con due colpi di pistola la sera del 25 gennaio 2010 nell'appartamento di largo Cesti dove abitava, emerge in maniera piuttosto chiara attraverso gli approfondimenti che la Polizia scientifica ha effettuato all'epoca delle prime indagini sul delitto. Riscontri oggettivi con i quali dovranno essere per forza di cose rapportate le risultanze investigative che hanno portato agli arresti dei giorni scorsi, a distanza di undici anni dai fatti di sangue.

Secondo gli inquirenti, le prospettazioni della scientifica, compiute attraverso lo studio della balistica, confermano la dinamica ipotizzata alla base del quadro indiziario che sostiene l'ordinanza di custodia cautelare. Perché stando all'analisi della scena del crimine, Moro fu colpito alle spalle, mentre si trovava davanti al lavello della cucina, o meglio dell'angolo cottura adiacente al salotto, un'ambiente piuttosto raccolto davanti alla porta d'ingresso. Presumibilmente la vittima stava preparando il caffè: tutto questo, asseconda la ricostruzione che Moro si fidasse dei suoi ospiti, o meglio che avesse sotto valutato le loro intenzioni.

Gli investigatori della scientifica ipotizzavano che la vittima fosse stata colpita da un primo proiettile mentre era in piedi, ma china sul lavello, arrivando al punto di stimare che il killer potesse essere alto almeno un metro e ottanta, con una distanza di sparo non superiore al metro. L'ogiva infatti ha compiuto una traiettoria obliqua dall'alto verso il basso, tenendo comunque conto delle deviazioni che può avere subito attraversando il corpo della vittima.

Gli specialisti della balistica però mettono in chiaro di avere preso in considerazione l'ipotesi più probabile che il killer tenesse il braccio teso in linea con il "vivo di volata" del proiettile, ovvero che l'omicida fosse abbastanza alto per sovrastare la vittima china, senza escludere però che chi ha sparato potesse avere il braccio leggermente sollevato col polso piegato per rivolgere l'arma verso il basso sul corpo della vittima reclinato in avanti.

Fatto sta che Simone Grenga, considerato l'esecutore materiale del delitto, è alto 1,78 metri, ossia due centimetri più basso rispetto alle stime che la scientifica aveva compiuto confrontando l'altezza di Massimiliano Moro con le proporzioni fisiche del killer. Misurazioni sulle quali si profila un confronto serrato tra le parti.