La sua è una di quelle priorità con la "P" maiuscola. Una di quelle richieste che dovrebbero sempre avere una corsia preferenziale perché, se accolte, andrebbero a beneficio di un nucleo familiare completo, degli assistenti familiari a sostegno ma, soprattutto, di una bambina affetta da una malattia rara e che avrebbe bisogno anche di sentire vicino il calore della propria mamma. Quel calore che Valentina, nonostante sia una "caregiver" e dunque un'assistente domiciliare per anziani e disabili, non può darle senza prima aver ricevuto il vaccino anti-covid. Così la sua Chloe di dieci anni, affetta dalla sindrome di Dravet che è un'epilessia farmaco resistente neonatale, può essere seguita tutta la giornata dalle infermiere che si alternano ma non dalla mamma che, come tutti i caregiver e come il suo compagno, è ancora in attesa di inserimento nel piano vaccinale.
La sindrome di Dravet colpisce una bambina su 40mila individui ed è curata con il farmaco sperimentale statunitense Fenfluramina che riduce la frequenza delle crisi convulsive. Il numero di questi pazienti, in Italia, è ragguardevole: le stime valutano attorno al 20% i pazienti che non rispondono alla terapia farmacologica. «Non posso assistere la mia bambina (che segue la scuola con la didattica a distanza, ndr), non posso sostenere le operatrici sanitarie, non posso nemmeno accostarmi a Chloe per tutelarla da qualsiasi tipo di rischio che potrebbe arrivare tramite me dall'esterno - spiega con commozione Valentina che vive a Sabaudia con il compagno e che ha altri due figli piccoli da seguire -. La vorrei abbracciare, baciare e non poterlo fare mi sta logorando. Per questo torno ad appellarmi alle istituzioni preposte perché, insieme ai miei colleghi caregiver, mi venga iniettato il vaccino immunizzante».