Tra le carte dell'inchiesta Reset emerge uno spaccato inedito della criminalità latinense, una circostanza registrata in carcere che conferma una volta per tutte la complessità dei rapporti tra i sodalizi che si spartiscono gli affari illeciti. È il caso di una lettera, una sorta di pizzino che un Di Silvio, per l'esattezza Giuseppe detto Ciappola, ha cercato di fare arrivare in maniera non ufficiale ad Angelo Travali detto Palletta, per mano di un altro detenuto, mentre i due erano ristretti nello stesso istituto di pena: può sembrare una cosa normale negli ambienti della malavita e in effetti lo è, se non fosse che i Travali non sono visti di buon occhio proprio da tutti i Di Silvio, sebbene la loro madre sia una di loro, oltretutto figlia di una Casamonica, basti pensare alla forte rivalità con la famiglia di Armando detto Lallà. Nel mezzo della missiva, oltre a una dimostrazione di stima da parte del mittente nei confronti del destinatario, si intravede un tentativo di riorganizzazione in vista della scarcerazione.

Il manoscritto è una testimonianza straordinaria. Il ritrovamento risale al marzo del 2018 nel carcere di Viterbo, quando gli agenti di Polizia penitenziaria perquisirono un detenuto albanese al momento di farlo tornare in cella dopo la lezione negli ambienti comuni destinati all'attività scolastica. E infatti si tratta di una lettera scritta a penna su un foglio strappato da un quaderno: è stato lo stesso "messaggero" a rivelare che gli era stata consegnata dal "compagno" di classe Giuseppe Di Silvio affinché la facesse arrivare a Travali, ristretto nella sua stessa sezione. In ogni caso l'intestazione è inequivocabile: «x il mio grande amore fraterno Palletta, il tuo Ciappola».

La missiva era stata classificata come comunicazione fraudolenta, ma aveva destato l'attenzione delle guardie carcerarie per alcuni contenuti espliciti. Dopo i convenevoli iniziali e l'invito a farsi forza, Ciappola introduce un tema che forse si riferisce all'andamento delle inchieste o forse a qualcosa successo in carcere: «...Ti fidi troppo dei Gagi (non zingari, ndr) Non ti devi fidare di nessuno, manco di me hai capito. Però io non sono gagio, sono zingaro e fiero...». Poi Giuseppe Di Silvio, facendo riferimento alla possibilità di uscire prima ottenendo la continuazione dei reati e quindi uno sconto di pena maggiore, si dichiara pronto a tornare in strada: «E si ripiglia come avevamo lasciato. Pistola in pugno e si entra in azione moto e casco integrale e annamo una bomba. Ma mo Ciappola si fa un po' di rapine belle e poi casa mi faccio. È tutta una passeggiata per me perché non c'ho paura anzi...». Poi termina confermando stima e affetto.

L'episodio era stato monitorato con attenzione perché, scrivevano gli agenti della penitenziaria: «il detenuto Di Silvio, all'interno di tale reparto, ha sempre tenuto dei comportamenti da leader sugli altri detenuti, con ripercussioni sul normale svolgimento delle lezioni scolastiche e su questo suo atteggiamento è stato già più volte richiamato verbalmente, ma lo stesso continua con assoluta indifferenza».

Giuseppe detto Ciappola ha 36 anni, uno più di Palletta, ed è recluso per il suo coinvolgimento in prima persona nella rappresaglia di vendette che hanno infiammato i primi mesi del 2010. Fu arrestato sul lungomare mentre consegnava la pistola ai due sicari che dovevano vendicare il tentato omicidio di Carmine Ciarelli, sparando all'uomo che consideravano esserne l'autore. Dopo tutto Ciappola è figlio di Costantino Di Silvio detto zio Costanzo, di recente arrestato nell'ambito dell'inchiesta Movida Latina, fratello dei personaggi di spicco del clan di Campo Boario, come Giuseppe detto Romolo, Carmine e il defunto Ferdinando detto il Bello, quest'ultimo vittima dell'attentato esplosivo di 18 anni fa che ha alimentato l'astio tra fazioni. Per intenderci, zio Costanzo è cugino di primo grado di Armando detto Lallà, capo di una famiglia e di un gruppo criminale molto distante dai Travali, gli stessi che non esitarono a intimorire nel 2010 con una sparatoria per fermare la fuitina tra la sua unica figlia femmina e il fratello minore di Palletta.
Insomma, una lettera come quella intercettata nel carcere di Viterbo insegna che non c'è nulla di scontato negli ambienti della mala pontina e conferma una volta per tutto quanto siano labili le alleanze tra i sodalizi.