L'ordine di demolizione di un immobile, peraltro sottoposto ad un sequestro di natura penale, che non sia supportato da un espresso annullamento del titolo autorizzativo a costruire, non è valido. Lo ha stabilito il collegio giudicante del Tar Lazio di Latina che ha accolto il ricorso dei proprietari di alcuni lotti inseriti in un progetto di lottizzazione (Collina degli Ulivi tra Cori e Giulianello), finito sotto la lente della Procura e dell'autorità giudiziaria, che davanti alla Giustizia amministrativa avevano deciso di impugnare per farla annullare, l'ordinanza di demolizione emanata dal Comune di Cori nel 2018.
Il collegio presieduto dal dottor Vinciguerra, ha ritenuto degne di accoglimento le censure dei ricorrenti che sottolineavano non solo la sfilza di pareri a favore, da quello della Regione del 2015, alle delibere della Giunta municipale, alla convenzione tra il Comune e i lottizzanti del 2016, per arrivare al permesso di costruire anche le opere di urbanizzazione firmato dal responsabile del settore Urbanistica ed Edilizia del Territorio del Comune.
Ma c'è di più. Il Comune aveva anche collaudato le opere di urbanizzazione primaria realizzate interamente a spese dei lottizzanti e aveva anche incassato le somme per la cessione delle Aree verdi in ossequio alla convenzione firmata nel 2016. Nel tempo quella lottizzazione era finita nelle indagini della Procura che ne aveva disposto il sequestro e il responsabile del Settore, che inizialmente non ricopriva quel ruolo e che aveva seguito il piano di lottizzazione, viene investito dell'incarico e in questa veste ha firmato l'ordine di demolizione di due fabbricati oggetto, negli anni precedenti, di una richiesta di modifica non essenziale, approvata. Ordinanza di demolizione che però, non è stata preceduta da un annullamento del titolo autorizzativo sicché per la giustizia le opere sono state realizzate legittimamente, al massimo si potevano censurare le difformità rispetto a quanto autorizzato, ma così non è stato.
L'avvocato dei ricorrenti, il dottor Scafetta, nel frattempo aveva più volte sollecitato l'annullamento in autotutela dell'ordinanza, senza però ricevere risposte. Ora la risposta arriva dal Tar che annulla quella ordinanza e che, peraltro, condanna il Comune di Cori al pagamento delle spese processuali per oltre 6.000 euro.
La sentenza riporta passaggi molto interessanti. Il Comune ha eccepito la difformità di quanto realizzato rispetto alla Scia e, in particolare, l'avvenuta realizzazione di «un manufatto di altezza superiore a quella massima consentita dalle n.t.a.» e distanze inferiori alla norma per i fabbricati di cui ai lotti n. 17 e n. 18 in corso di costruzione. Il collegio del Tar ritiene che «la descrizione dei suddetti profili di abusività appare del tutto insufficiente a far comprendere in concreto i termini dell'illecito che viene contestato, non essendo indicate né l'altezza rilevata e quella massima consentita, né le distanze misurate rispetto a quelle inderogabilmente prescritte per legge, sì che anche sotto tale profilo l'ordinanza di demolizione è attinta da un evidente eccesso di potere». La censura più grave che emerge dalla sentenza è quella riferita a «gravi patologie anzidette che hanno viziato l'azione amministrativa del Comune di Cori».