Richieste complessive per un totale di quasi mezzo secolo di condanne ieri in aula nel corso del processo nei confronti di cinque imputati, arrestati la scorsa estate dal Goa (Gruppo operativo antidroga), un reparto speciale del Gico della Guardia di Finanza. L'operazione era scattata la mattina del primo luglio del 2020 e aveva portato ad un sequestro ingente: venti chili di cocaina. Gli investigatori avevano intercettato un camion proveniente dall'estero che stava scaricando la droga in un piazzale di una azienda al confine tra i comuni di Latina e Sezze. Nel corso di una requisitoria durata oltre un'ora e mezza, il pubblico ministero Antonio Sgarrella ha ricostruito l'indagine e ha tirato le somme, formulando le richieste di condanna. Il magistrato inquirente ha chiesto dieci anni e otto mesi di reclusione nei confronti di Luca Colaninno e Antonio Susca, entrambi originari di Fasano in provincia di Brindisi, erano a bordo del mezzo pesante dove era nascosta la droga e infine ha chiesto otto anni di reclusione per gli altri imputati: Giuseppe Purita, 48 anni di Latina, Riccardo Sarallo 37 anni di Sezze, Sebastiano Campisi 43 anni di Latina. Il magistrato ha ritenuto sussistenti i gravi indizi nei confronti di tutti gli imputati.

Gli inquirenti hanno contestato nei confronti degli imputati l'aggravante dell'ingente quantità. Una volta che il pm ha formulato le sue richieste di condanna, la parola è passata ad alcuni avvocati del collegio difensivo che hanno cercato di sconfessare le accuse e hanno chiesto per i propri assistiti l'assoluzione e in sub ordine il minimo della pena. In aula ha rilasciato spontanee dichiarazioni Colannino che ha spiegato di essersi ritrovato in difficoltà economiche, mentre hanno deposto altri due imputati: Campisi e Sarallo che hanno confermato quello che avevano detto nel corso dell'interrogatorio in occasione della convalida dell'arresto. Gli imputati sono assistiti dagli avvocati Palmieri, Oropallo, Fiore, Iacoacci, D'Aloisi, Barillà.

La cocaina era divisa in 19 involucri da un chilo che erano in due buste nere e secondo gli accertamenti avrebbe fruttato 100mila dosi. In base alla ricostruzione degli investigatori, il camion era in possesso di Colannino, titolare di una azienda di trasporti con sede all'estero mentre Purita avrebbe chiesto a Riccardo Sarallo di usare il piazzale della sua azienda per scaricare un carico, anche se Sarallo aveva spiegato in fase di interrogatorio dal gip dopo l'arresto, di non essere a conoscenza del contenuto delle buste con dentro la droga. La sostanza stupefacente il cui valore sul mercato era di svariati milioni di euro, era in una intercapedine sul tetto del rimorchio tra alcune lastre di polistirolo. Nel provvedimento restrittivo il gip aveva sottolineato che Campisi aveva il ruolo di fare da palo controllando il piazzale e una volta scaricata la droga le buste erano state portate da Purita e Campisi a bordo di un'auto che era parcheggiata nel piazzale. Non erano emersi dubbi inoltre sulla destinazione a terzi della droga, a partire da una serie di indici investigativi ritenuti rilevanti: il quantitativo ingente, il confezionamento, l'occultamento in un vano segreto e infine le modalità di scarico e la scelta dell'orario per concludere le operazioni: alle prime ore del mattino in modo da passare inosservati. Erano stati questi i passaggi più indicativi della misura restrittiva emessa dal gip e che sono stati ripercorsi in aula dal pm. Nel corso della prossima udienza ad aprile finiranno di parlare tutti i componenti del collegio difensivo e a seguire il giudice si ritirerà in camera di consiglio per emettere poi la sentenza.